Natale con i tuoi, Pasqua con Ninja Marketing. Chi avrebbe mai immaginato una Pasquetta così? Per fortuna, la Week in Social non va in vacanza e potrà tenervi compagnia, qualora lo vogliate, anche in questo weekend.
TikTok e la quarantena
Complice l’emergenza Covid-19, complice la novità, complice la voglia di divertirsi che abbiamo in questo periodo e che, purtroppo, si può sfogare in pochi modi, dati alla mano, i numeri di TikTok in Italia sono in crescita: se non ci credete, sfogliate una manciata di video e noterete che l’età media non è affatto di 15 anni come in origine.
Facciamo una prova: guardate quante famiglie, nonni, genitori sono coinvolti in questi video, nella challenge di turno e quanti gatti e cani sono protagonisti del sistema TikTok? Lo ammettiamo, ci siamo anche noi. E sicuramente, i banchi di scuola li abbiamo abbandonati da un pezzo. Poveri giovani d’oggi: non possono scoprire un’app che il mondo adulto se ne impossessa subito.
Smart working e TikTok
“Sono tanti i modi con cui gli utenti di TikTok esprimono la nostalgia verso il loro lavoro. I più colpiti dal blocco delle attività, come estetisti, parrucchieri, hostess e steward di bordo, sono anche i più creativi sulla piattaforma.” scrive il Ninja Giancarlo Donadio.
C’è chi, per esempio, come @justcallmepino, non rinuncia alla sua passione per il volo. Per combattere la noia, con indosso una divisa da pilota, si esercita facendo volare un modellino di aereo. In attesa di pilotare un aereo vero è riuscito a “far volare” le visualizzazioni, che hanno superato le 230mila.
Gli estetisti, i parrucchieri e itatuatori danno invece un nuovo significato alla parola“telelavoro”. Con la TV accesa che proietta immagini di loro potenziali clienti in saloni di bellezza, si impegnano, ferri del mestiere alla mano, a fare una messa in piega, disporre lo smalto sulle unghie, e a disegnare coloratissimi tatuaggi. In tempi in cui la telemedicina fa miracoli, in cui è possibile operare i pazienti a distanza, chissà se un giorno le loro professioni potranno essere svolte “da remoto”.
Dating tarda ad arrivare in Italia per i motivi che già sappiamo (non diteci che siete lettori distratti, ne abbiamo parlato nella rubrica Week in Social, poche settimane fa) e quindi se Facebook non può fare da Cupido tra gli italiani, sceglie di agire tra chi è già innamorato.
Uno spazio gratuito per dare la possibilità alle coppie di scambiarsi quello che si vuole, dalla musica alle foto, e non necessita del collegamento a Facebook. Perché? Chi lo sa come vanno questi esperimenti, magari domani falliscono e dopodomani invece saranno le funzionalità del momento.
Il modo migliore per capirlo è comunque testarla: ed è subito download.
Facebook Gaming e i tornei
Facebook Gaming si adegua al periodo storico che stiamo vivendo e lo fa informando l’utenza attraverso un tweet, una manciata di giorni fa:
?Launch announcement…???
1/ Social distancing means we have to be apart, but games can still bring us together. So today we’re opening early access to Facebook Gaming tournaments, a feature to help people stay connected through games. pic.twitter.com/rYOIXBcIHS
— Facebook Gaming #playaparttogether (@FacebookGaming) April 7, 2020
Questa funzionalità sarebbe dovuta uscire più avanti ma non si poteva attendere. Ora, si potranno organizzare tornei e vere e proprie sfide con chiunque. Tutto come fosse reale: ecco, ora sappiamo cosa fare a Pasquetta.
In breve
Zoom – Cosa fare quando la tua piattaforma passa da 10 a 200 milioni di utenti al giorno? Assumere chi ne sa più di te. Ed ecco perché, in termini di privacy, è stato assunto da Zoom, la piattaforma di videochiamate e teledidattica del momento, l’ex capo della sicurezza di Facebook, Alex Stamos. Non si possono correre rischi, quando si diventa famosi.
Data for Good – Mark Zuckerberg mette a disposizione degli esperti dati e spostamenti delle persone nel mondo per monitorare il contagio da Covid-19. Grandi mappe, a definire quanto e come si sta evolvendo la situazione. I social (o chi per loro) che aiutano il progresso.
Fake News – Continua la lotta alle fake news: secondo un recente studio dell’Università di Oxford, Facebook è in grado di bloccare il 76% delle notizie false.
Luxury – Instagram non è più il padrone social incontrastato del settore lusso: ora TikTok offre una bella e variegata concorrenza. Tantissimi i brand che si affidano a questo social per la propria comunicazione.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/weel-in-social.jpg551991Eleonora Tricaricohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEleonora Tricarico2020-04-11 15:52:402020-04-20 10:58:12Week in Social: TikTok e la quarantena, la nuova app per coppie e i tornei su Facebook
La natura sempre più reale degli avatar digitali li ha resi oggi difficilmente distinguibili dalle persone reali
Un recente report di HypeAuditor, mostra un tasso di coinvolgimento sui social quasi tre volte superiore rispetto agli influencer reali
Un futuro che ha molti potrebbe sembrare strano è stato illustrato durante l’ultima edizione del CES 2020 di Las Vegas. È stata una società che crea immagini in AI di modelli e modelle che possono essere personalizzati in termini di tratti somatici, colore della pelle e capelli, insieme al colosso dei cosmetici L’Oréal, ad evidenziare come l’intelligenza artificiale può essere sempre di più essere messa a disposizione dei brand per creare servizi fotografici senza avere bisogno di modelle e modelli in carne ossa.
La natura sempre più reale degli avatar digitali li ha resi oggi difficili da distinguere dalle persone reali. La tecnologia può realmente cambiare il modo in cui i modelli o gli influencer compaiono nelle pubblicità, nei post e nei contenuti dei brand e le modalità in cui vengono negoziati contratti e compensi.
Immaginiamo di essere un brand di moda che oggi decida di adottare per la sua strategia di comunicazione l’utilizzo di un influencer. La gestione di un influencer richiede costi organizzativi e tecnici come l’invio di capi, l’acquisto di biglietti per partecipare ad eventi, costi logistici e di trasporto.
Se invece scegliessimo un virtual influencer non dovremmo affrontare costi di gestione o spese varie, ma solo ed esclusivamente costi di produzione ed elaborazione grafica e un contratto on l’eventuale azienda che detiene i diritti del virtual influencer.
Esistono già tanti avatar e influencer virtuali che compaiono sulla copertina di riviste di moda internazionali nei feed di numerosi brand di moda.
Si chiamano Miquela,Noonoouri, Shudu, Imma e Daisy. Hanno volti riconoscibili e milioni di followers su Instagram. E ovviamente i loro outfit sono sempre perfetti.
Secondo quanto mostrato dal rapporto di HypeAuditor, hanno un tasso di coinvolgimento sui social quasi tre volte superiore rispetto agli influencer reali.
I virtual influencer sono il futuro del marketing?
Difficilmente 20 anni fa ci saremmo mai potuti immaginare che modelle o influencer virtuali avessero mai potuto sostituire top model reali nella comuniazione dei brand. L’industria della moda è certamente uno dei primi settori ad aver implementato l’utilizzo di virtual influencer nella propria comunicazione e strategia di marketing.
E sono sempre più numerosi i brand che iniziano a testare queste nuove forme di comunicazione soprattutto sui canali social.
Prima di considerare i pro e i contro dell’utilizzo di virtual influencer esploriamo alcuni esempi.
Daisy
Uno dei brand che sta utilizzando l’AI e ha creato un proprio avatar digitale è Yoox che ha sviluppato Daisy, protagonista principale dell’account instagram del famoso eCommerce di abbigliamento. Daisy sta impersonificando il brand cercando di avere un contatto diretto con i follower.
L’impressione guardando il profilo Instagram. È quello di seguire una vera e propria content creator che si cimenta in diverse attività quotidiane indossando i capi dei suoi brand preferiti.
Tuttavia quello che si nota visionando on più attenzione le caption dei post e i commenti degli utenti, i contenuti non generano grandissimo coinvolgimento e diversi utenti non sempre apprezzano la sue figura e le sue forme ancora non perfettamente umane.
Lil Miquela
Lil Miquela è stata una delle prime virtual influencer, tanto che oggi è ormai una star di Instagram. Oggi il suo seguito è impressionante con 1,6 milioni di follower e sta aprendo la strada a una nuova ondata di It Girl non convenzionali.
Dal 2016 ad oggi si è trasformata da un semplice pixel a una delle influencer più conosciute, conquistando il mondo della moda, della musica e dei social media. Ha collaborato con i più importanti brand come Prada, Samsung, Vetements, Chanel e tanti altri. Le descrizioni dei suoi contenuti sono molto dettagliate e personali, ricchi di emozioni personali e improntati alla scoperta di sé.
Colonnello Sanders
Gli avatar e i virtual influencer non hanno solo conquistato la curiosità dei brand di moda. Si stanno diffondendo nel mondo della musica e anche in quello del food.
L’esempio più significativo è quello del profilo Instagram di KFC. L’iconico colonnello Sanders, storico fondatore del marchio, è apparso per qualche settimana sotto forma virtuale con le sembianze di un influencer hipster.
I suoi contenuti sono irriverenti e attraverso classiche pose e situazioni in cui è facile ritrovare i veri influencer, svela i segreti del successo dietro alla sua figura e al brand KFC. Un esperimento che ha avuto un grandissimo successo dimostrato anche dell’engagement dei vari post. Una parodia dell’influencer moderno che ha permesso al brand di divertirsi e far divertire i suoi utenti.
Virtual influencer: reale opportunità o moda passeggera?
Una cosa è certa: il fenomeno è in grandissima crescita, così come i fan che seguono questi influencer del futuro. Non hanno solo apparenze normali, ma comunicano stili di vita molto vicini alla realtà.
È normale che nel lungo termine i dati permetteranno di capire se gli utenti, sempre più in cerca di autenticità e sincerità sui social, continueranno ad apprezzare queste figure virtuali.
Quello che possiamo affermare è che oggi non tutti gli avatar vengono percepiti come finti, poiché ognuno di loro è stato pianificato per sembrare un personaggio reale. Infatti nei loro account pubblicano in maniera costante contenuti anche attraverso le stories, vivono situazioni quotidiane reali, comunicano con gli utenti seguendo le caratteristiche di personas ben definite e pianificate a priori.
Le loro vite seppur digitali e studiate a tavolino, riescono comunque ad esprimere quei caratteri emozionali ed ispirazionali facendo in modo che i loro follower riescano in qualche modo ad immedesimarsi nelle loro situazioni quotidiane.
Tuttavia dall’altro lato possiamo sicuramente affermare che ancora oggi c’è sempre qualcosa di straordinariamente potente e coinvolgente nei contenuti realizzati da persone e influencer reali, che attraverso la loro personalità si collegano con il loro pubblico. Influencer virtuali come Lil Miquela possono essere creati per fingere di avere emozioni umane, ma questo potrebbe facilmente ritorcersi contro se il suo pubblico iniziasse a dubitare che quelle emozioni non siano sufficientemente reali.
È anche vero che i virtual influencer potrebbero apparire in diversi luoghi o eventi contemporaneamente, concedere in licenza le loro immagini e aumentare la quantità di contenuti prodotti in maniera esponenziale rispetto a un influencer reale.
Assisteremo a un futuro in cui i virtual influencer prevaricheranno su quelli reali? Molto probabilmente no, ma sicuramente continueremo ad avere una crescente coesistenza tra reale e virtuale.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/virtual-influencer-yoox.jpg441601Emanuele Loiaconohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEmanuele Loiacono2020-04-10 14:03:512020-04-14 10:27:51Top model avatar e virtual influencer saranno il futuro della pubblicità?
La piattaforma per i video brevi può contare su oltre sei milioni di utenti in Italia;
Su TikTok gli utenti stanno raccontando in modo creativo il loro smart working, anche quando diventa difficile attuarlo, come nel caso di barbieri, tatuatori o meccanici.
“La bellezza salverà il mondo”, è una delle frasi più citate dagli utenti della Rete, tratta da L’idiota di Dostoevskij. Parafrasando il genio della letteratura russa, potremmo chiederci se sarà anche una fragorosa risata a fare altrettanto, a salvare il pianeta in tempi di emergenza?
Una possibile risposta è offerta dagli utenti di TikTok, la piattaforma per i video brevi della Gen Z (ma non solo), che può contare su oltre sei milioni di utenti nel nostro Paese, 40 milioni nel mondo.
Nelle loro clip gli utenti raccontano in modo leggero, divertente e creativo l’emergenza che stiamo vivendo.
Tra i temi più discussi, c’è lo smart working. C’è il parrucchiere che si esercita tagliando l’erba al prato, chi si inventa un nuovo lavoro, come camboy, e chi ancora escogita dei trucchi per fuggire dalle call noiose. Siamo andati a curiosare. Ecco cosa altro abbiamo scoperto.
Estetisti, parrucchieri, hostess e steward di bordo, i più creativi
Sono tanti i modi con cui gli utenti di TikTok esprimono la nostalgia verso il loro lavoro. I più colpiti dal blocco delle attività, come estetisti, parrucchieri, hostess e steward di bordo, sono anche i più creativi sulla piattaforma.
C’è chi, per esempio, come @justcallmepino, non rinuncia alla sua passione per il volo. Per combattere la noia, con indosso una divisa da pilota, si esercita facendo volare un modellino di aereo. In attesa di pilotare un aereo vero è riuscito a “far volare” le visualizzazioni, che hanno superato le 230mila.
Gli estetisti, i parrucchieri e i tatuatori danno invece un nuovo significato alla parola “telelavoro”. Con la TV accesa che proietta immagini di loro potenziali clienti in saloni di bellezza, si impegnano, ferri del mestiere alla mano, a fare una messa in piega, disporre lo smalto sulle unghie, e a disegnare coloratissimi tatuaggi. In tempi in cui la telemedicina fa miracoli, in cui è possibile operare i pazienti a distanza, chissà se un giorno le loro professioni potranno essere svolte “da remoto”.
Nuovi lavori: barbieri da giardino, meccanici da salotto e “camboy”
Si sa che i tempi di crisi sono quelli più proficui per innovare. Ci provano, divertendosi, gli utenti di TikTok. C’è il barbiere, come @ciroevinci2, che mette insieme due professioni, il barbiere e il giardiniere, inventando una nuova bizzarra professione: 131mila visualizzazioni per la sua clip.
C’è poi chi costruisce una sua officina in salotto, uno spazio più accogliente per i clienti, rispetto a un più tradizionale “garage”. E ancora chi fa una ricerca su Google per aprire una nuova attività come “improbabile” camboy.
Trucchi e brutte figure dello smart working su TikTok
C’è un altro filone molto divertente che racconta trucchi (e qualche svantaggio) dello smart working. L’utente @brannetts per esempio si chiede come fare a sopravvivere a delle noiosissime call di lavoro. La sua risposta è esilarante e potrebbe essere di ispirazione per i tanti che si trovano nelle sue condizioni.
Mentre altri denunciano gli inconvenienti dello smart working. Nel video, l’utente prepara perfettamente la sua call di lavoro con strumenti iper professionali, ma l’ingresso della madre che lo invita ad andare a pranzo, rompe il clima di professionalità che ha così duramente costruito.
Mentre su Facebook siamo subissati dai post che annunciano ogni giorno il numero dei contagiati e, purtroppo, dei decessi da Coronavirus, e Instagram è un proliferare di dirette (forse troppe), TikTok sta diventando uno spazio felice per chi cerca di evadere dal dramma che stiamo vivendo ogni giorno, per qualche minuto di puro svago.
D’altronde, il trend di crescita del social era già ragguardevole prima della crisi: da settembre e novembre 2019 la community era cresciuta fino a toccare quota 6,4 milioni, con un incremento della fascia d’età tra i 25-34 anni e anche dei 35+.
Scommettiamo che alla fine di questa emergenza i numeri del social sapranno sorprenderci ancora di più?
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/smart-weorking-su-tiktok.jpg567828Giancarlo Donadiohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiancarlo Donadio2020-04-08 11:52:202020-04-10 15:12:57Meccanici da salotto e barbieri da giardino: lo smart working su TikTok
Carosello è tornato, con la differenza che oggi si trova su Instagram e il “passaggio pubblicitario” si paga con una donazione direttamente proporzionale al numero di views in quel momento, aggiungendo uno zero e impegnandosi a versare il proprio contributo a un’associazione sul territorio.
Questo è il format ideato da Paolo Iabichino e Giovanni Boccia Artieri, nato come una chiacchiera dedicata agli studenti, alle studentesse e a chiunque ami questo mestiere e diventato un esempio di supporto creativo e solidale per il territorio.
Pubblicità e social per dare un aiuto concreto
“In questi giorni complicati ciascuno di noi fa quel che può per alleggerire i feed di follower e friend e per affiancare studentesse e studenti alle prese con queste inedite modalità didattiche. Noi abbiamo deciso di farlo ogni sera, alle 19:45, con una diretta di 15/20 minuti. Una pausa di riflessione, una sorta di Carosello contemporaneo per parlare di advertising, comunicazione, social media e cultura digitale in questi tempi complessi. Una conversazione che raccoglie davanti ai monitor fino a trecento persone che amano questo mestiere e vogliono analizzare quanto è successo, succede e succederà al nostro settore” afferma Paolo Iabichino, noto sui social come Iabicus.
“Fedele alla sua tradizione,il finale di puntata è dedicato al codino pubblicitario. Solo che qui il passaggio si paga con una donazione, direttamente proporzionale al numero di views in quel momento. Quindi, serve essere in molti di più, spargete la voce: l’hashtag di riferimento è #caroselloisback. Inoltre, chiunque voglia partecipare collegando la pagina Instagram del proprio brand (o di qualche cliente) è più che benvenuto/a, abbiamo bisogno di chiunque abbia una bella storia da raccontare. Grazie sin d’ora”.
I profili a cui connettersi su Instagram sono @gboccia e @iabicus, per seguire la diretta e darsi appuntamento sul social network, ogni giorno intorno all’ora che fu di Carosello.
Il primo brand ad aver aderito e a collegarsi per la prima volta direttamente a una trasmissione su Instagram, nel finale di puntata dedicato al codino pubblicitario, è statoBarilla con Alessio Gianni, Digital & Content Marketing, Global Director e da anni alla guida delle strategie digitali e creative di Barilla a livello mondiale.
Assieme al noto marchio italiano hanno già aderito anche Parmigiano Reggiano, Loquis ed Evway chiudendo la prima settimana.
Il sabato e domenica, invece andranno in onda puntate speciali con interviste monografiche sui temi verticali.
Per i brand che desiderassero candidarsi è possibile farlo scrivendo un messaggio sulla pagina Instagram di Carosello Is Back e descrivendo brevemente la propria storia.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/carosello-is-back-1.jpg7211280Redazionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngRedazione2020-04-07 11:24:282020-04-08 19:10:31Carosello is back: la pubblicità diventa solidale e aiuta ad affrontare l'emergenza
Anche i nonni iniziano a fare i conti con la tecnologia, con molte difficoltà
L’AI fa parte delle nostre vite, ma siamo lontani dalla creazione di un sistema intelligente
L’intelligenza artificiale porterà ulteriori e notevoli vantaggi alla società attuale
Molti dei nostri nonni stanno iniziando a fare i conti con la comprensione della tecnologia e non solo con un uso passivo: guardandosi attorno è possibile notare che sono sempre di più gli over 65 che si iscrivono ai social network, navigano abitualmente sul web, fanno videochiamate e comprano smartphone all’ultimo grido. Anche le statistiche ISTAT lo confermano, almeno l’80% della popolazione over 60 ha usato internet una volta nella vita e circa un anziano su tre, tra i 65 e i 75 anni, ha navigato nel web nell’ultimo anno. Il 13% dichiara di usarlo addirittura tutti i giorni.
Tuttavia, è noto che il grey digital divide, ovvero il divario tra l’utilizzo delle nuove tecnologie da parte della popolazione anziana, rispetto al resto della popolazione, è ancora parecchio marcato. Ci sono barriere difficili da superare, legate sia a problemi attitudinali che alla difficoltà nell’apprendimento dell’uso dei nuovi strumenti di comunicazione. E spiegare determinati concetti per noi nativi digitali, non è per niente semplice.
Ci capita spesso di avere difficoltà a spiegare le nostre professioni a una persona che ha poca confidenza con il web, figuriamoci spiegare un concetto complesso come quello dell’intelligenza artificiale. Ma facciamo comunque un tentativo.
Il termine Artificial Intelligence (AI), coniato nel 1956 dall’informatico statunitense John McCarthy, sottintende un campo di studi che consente alle macchine di “pensare” e mettere in atto comportamenti tipici dell’uomo, ad esempio comprendere il linguaggio naturale, ragionare, interagire con le persone, le macchine e l’ambiente. Come?Tramite tecniche di apprendimento automatico.
La nonna avrà capito? Mi sa di no. Proviamo con un esempio.
Immaginiamo di dover sistemare una serie di fotografie all’interno di diversi album e di doverle dividere in base al soggetto. A noi uomini basterebbe una semplice occhiata per poterle classificare ed inserire nel raccoglitore corrette. Ma se questo compito lo dovesse svolgere un computer, anziché una persona? Per poterlo fare, bisognerebbe rendere il computer capace di riconoscere e categorizzare le immagini. A questo scopo gli studiosi hanno inventato le reti neurali, soluzioni matematiche che, ispirandosi al funzionamento del cervello, agiscono imparando a selezionare l’immagine corretta, mediante le informazioni che sono in grado di raccogliere. Più informazioni riesce a memorizzare un computer, meno sarà difficile sbagliare le operazioni successive.
Molto spesso, quando si sente parlare di intelligenza artificiale, siamo abituati a pensare ai robot che ci raccontano i film, come Terminator e Blade Runner, ma non ci accorgiamo che in realtà essa è già presente nelle nostre giornate quotidiane e vi interagiamo continuamente.
Le prime tracce della cosiddetta “AI – Intelligenza Artificiale” come disciplina scientifica risalgono agli anni Cinquanta: in questo ambito ebbe un ruolo fondamentale Alan Turing. Nel suo articolo “Macchine e intelligenza informatica” spiegò un esperimento noto come “test di Turing”, secondo cui una macchina poteva essere definita intelligente dal momento in cui il suo comportamento sarebbe stato considerato indistinguibile da quello di una persona.
Come nacque l’interesse per questo tema? Negli anni ‘40 si scoprì che la struttura interna del cervello è composta da una rete di neuroni che trasmettono impulsi elettrochimici ed iniziarono a chiedersi: sarebbe possibile replicarne il funzionamento? Da questa idea ebbe origine il progetto di una macchina pensante, capace di parlare, ragionare, imparare, esattamente come una persona. A partire da quegli anni ci fu un periodo di incessante ricerca, che portò ad enormi successi: McCulloch e Walter Pitts crearono il primo modello di rete neurale ispirato al cervello (1943), Marvin Minsky e Dean Edmonds svilupparono il primo “neuro computer” (1951), mentre Allen Newell e Herbert A. Simpson svilupparono il primo vero sistema AI (1955).
Se inizialmente questa disciplina aveva nomi diversi (ad esempio “programmazione euristica” o “sistema intelligente”), nel 1956 prevale il termine “intelligenza artificiale“. Questa definizione venne usata per la prima volta da John McCarthy, durante uno storico convegno dedicato, tenutosi a Dartmouth. Durante gli anni successivi alla nascita dell’Intelligenza Artificiale ci furono molte sperimentazioni e anche le aspettative iniziarono a crescere, ma i macchinari dell’epoca non disponevano di una capacità adeguata. Di conseguenza, a partire dagli anni ‘70 si passò ad un approccio più pragmatico. Oggi l’intelligenza artificiale non è più un’ipotesi, ma trova applicazione in diversi ambiti.
La strada da percorrere per creare un vero “sistema intelligente”, però, è ancora lunga.
Come si può classificare l’intelligenza artificiale?
Anche se siamo ancora molto distanti dalla creazione di una vera e propria “intelligenza artificiale”, i progressi ottenuti in questi anni non hanno precedenti: automobili che si guidano da sole, assistenti vocali, sistemi di riconoscimento delle immagini, orologi che monitorano i nostri parametri vitali, ma anche macchine in grado di sostituire i lavoratori per specifiche mansioni.
Due sono stati gli approcci perseguiti per raggiungere questo risultato: il primo consisteva nel costruire dei software capaci di replicare l’uomo nel modo di ragionare e nel comportamento; il secondo, invece, prevedeva di far assumere un determinato atteggiamento alla macchina basato su un problema posto dalla realtà.
Di conseguenza sono state definite due tipologie di AI:
intelligenza artificiale debole, quando un software è in in grado di simulare alcune funzionalità cognitive dell’uomo, senza raggiungere le piene capacità intellettuali. I sistemi attualmente in uso possono essere classificati all’interno di questa categoria;
intelligenza artificiale forte, quando un software è in grado di sviluppare una propria capacità intellettuale, senza dover emulare l’uomo. I più ottimisti pensano che un giorno sarà possibile ottenere una macchina con queste capacità.
Artificial intelligence debole e forte stanno alla base della distinzione tra:
machine learning, o apprendimento automatico, consiste in un insieme di tecniche che permettono alle macchine di “imparare” dai dati e prendere decisioni. Alcuni esempi per questo tipo di sistema di intelligenza artificiale sono il riconoscimento facciale (Facebook), la classificazione degli oggetti, etc. L’apprendimento può essere svolto con tre modalità: mediante esempi (con supervisione didattica), mediante l’analisi dei risultati (senza supervisione didattica) e mediante un premio al raggiungimento di un risultato (reinforcement learning);
deep learning, o apprendimento approfondito, consiste in un insieme di tecniche che cercano di emulare la struttura e la funzione della mente umana (reti neurali artificiali). Se il nostro cervello, per formulare una risposta ad un quesito o arrivare alla risoluzione di un problema, mette in moto i propri neuroni biologici, il deep learning sfrutta le connessioni neurali. Alcuni esempi per questo tipo di sistema di intelligenza artificiale sono il riconoscimento automatico della lingua parlata, l’elaborazione del linguaggio naturale (NLP), etc.
L’intelligenza artificiale è uno strumento che potrebbe portare notevoli vantaggi alla società attuale. In primis perché è in grado di fornire soluzioni semplici per la vita di tutti i giorni. Basti pensare agli assistenti vocali e ai sistemi di smart home, come Siri, Google Home, Alexa, Cortana, che sfruttano l’intelligenza artificiale, sia per il riconoscimento del linguaggio naturale, che per l’analisi delle abitudini e dei comportamenti degli utenti, ma anche ai frigoriferi intelligenti che segnalano gli ingredienti che mancano, alle automobili a guida autonoma e ai sensori intelligenti, capaci di elaborare in tempo reale i percorsi più convenienti e veloci. Per non parlare degli assistenti virtuali, che potrebbero essere un valido sostegno per gli anziani, facendo compagnia, ricordando di mangiare e assumere farmaci, inviando richieste di soccorso in caso di necessità, etc.
Inoltre, l’AI troverebbe applicazione anche nell’ambito del lavoro. Molte attività, grazie all’intelligenza artificiale, potrebbero essere svolte con un grado di accuratezza molto più elevato, con un margine di errore inferiore e molto più rapidamente. Se, da un lato, l’automazione potrebbe lasciare alcuni impiegati senza lavoro (timore giustificato dal fatto che la metà delle attività lavorative potrebbe essere automatizzata entro il 2055, secondo il report “A Future That Works: Automation, Employment and Productivity”, realizzato dal McKinsey Global Institute), è altrettanto vero che potrebbero delinearsi nuove figure professionali, capaci di costruire, mantenere, operare e regolare queste tecnologie emergenti. Questo vantaggio è confermato da uno studio: un report di Capgemini intitolato “Turning AI into concrete value”.
L’intelligenza artificiale applicata alle vendite, ad esempio mostra risultati davvero significativi: grazie all’utilizzo di sistemi esperti, le persone sono in grado di trovare risposte ai loro problemi, scegliere il prodotto più appropriato, senza richiedere l’intervento di un professionista. Il funzionamento è molto semplice: se si ha un problema, basta collegarsi al sito web o alla app per fare una domanda alla macchina ed ottenere una risposta immediata.
Ma non solo, in caso di difficoltà di scelta, il sistema è in grado di elaborare le risposte dell’utente per fare domande sempre più accurate e arrivare a definire una proposta commerciale valida. Quello che l’AI sta cercando di fare è rendere questi sistemi sempre più “umani”, lavorando sul tone of voice e sullo stile espressivo: in questo modo sarà possibile instaurare una connessione emozionale con gli utenti e aumentarne il coinvolgimento.
In terzo luogo, l’intelligenza artificiale potrebbe portare enormi vantaggi al sistema sanitario: può essere utilizzata per individuare precocemente un problema, per fare una diagnosi rapida di malattie rare, individuando dettagli che spesso sfuggono all’occhio umano, ma anche per trovare nuove cure e trattamenti sperimentali e per monitorare i parametri vitali. Già oggi sono disponibili sul mercato sistemi cognitivi in grado di attingere e analizzare una grande quantità di dati, e di dedurre soluzioni. Ma non solo, gli assistenti virtuali basati su AI stanno iniziando a supportare i servizi di primo soccorso, le sale operatorie, i disabili (in particolare quelli che non sono in grado di parlare, o di camminare).
Un esempio recente di applicazione dell’intelligenza artificiale nell’ambito medico si è visto a Wuhan, nel corso dell’emergenza Coronavirus, dove sono stati usati sistemi per le diagnosi precoci delle polmoniti e il monitoraggio della malattia, in grado di fornire una risposta attendibile al 98,5%, in soli 20 secondi. La capacità di analizzare grandissime quantità di dati in tempo reale e di “dedurre” attraverso correlazioni di eventi, abitudini, comportamenti, offre un potenziale enorme non solo per la medicina, ma anche per il miglioramento dell’efficienza della sicurezza pubblica, la prevenzione e la gestione della crisi in casi di calamità naturali.
D’altra parte, però, esistono anche dei rischi da tenere in considerazione, oltre alla potenziale perdita di lavoro. Un ipotetico pericolo che molti temono è che l’essere umano possa essere sottomesso da una tecnologia dotata di un’intelligenza superiore, la cosiddetta “super intelligenza”. Altri, invece, non trovano rischi nell’inferiorità, ma nella dipendenza dalla tecnologia e nella salvaguardia della privacy. Questi timori, alimentati da personaggi di spicco come Stephen Hawking ed Elon Musk, potrebbero apparire eccessivi, ma sottovalutare gli impatti dell’Intelligenza Artificiale potrebbe rappresentare il primo fattore di rischio. Un ulteriore problema è rappresentato dalle cosiddette “bolle di filtraggio”. Se i contenuti suggeriti dagli algoritmi delle macchine influenzano l’utente (portandolo a cambiare atteggiamento), la sua visione delle cose che succedono nel mondo potrebbe essere destinata a restringersi e rischierebbe di rimanere intrappolato in una vera e propria “bolla ideologica”.
Capito nonna? L’intelligenza artificiale fa parte delle nostra quotidianità. È importante che si capisca come sfruttarla a nostro favore e non lasciarci sopraffare.
“Societing4.0 – Che cosa sono le tecnologie 4.0” è una miniserie per capire le principali tecnologie 4.0 (Robotica all’Intelligenza Artificiale, dalla Stampa 3D alla Realtà Aumentata/Virtuale, dai Big Data all’Internet delle cose) e per dare maggiore consapevolezza e strumenti critici sulla loro applicazione a cittadini curiosi, PMI, studenti e insegnanti.
Per ciascuna tecnologia le telecamere dei giovani ricercatori entrano nei laboratori dell’Università Federico II dove sono studiate le tecnologie e dove sei luminari rispondono alle domande dei ragazzi, sotto la direzione scientifica del Professore Alex Giordano.
I giovani ricercatori del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Napoli Federico II hanno intervistato Silvia Rossi, Assistant Professor al Dipartimento di Ingegneria Elettrica e Tecnologie dell’Informazione e Co-chief del PRISCA Lab – Intelligent Robotics and Advanced Cognitive System Projects.
Puoi guardare la video-intervista integrale sul portale di Rai Scuola a questo link.
La Prof.ssa Silvia Rossi ritiene che l’intelligenza artificiale“non può essere semplicemente una keyword che va di moda”, questo soprattutto in riferimento agli ambiti di applicazione per le imprese, infatti sostiene: “L’aspetto cruciale sta nel fatto che non si fa realmente comprendere alle aziende quali tipi di problemi potrebbero essere risolti, quali sono i reali campi di applicazione e quali aspetti un’azienda potrebbe migliorare grazie all’utilizzo dei sistemi di Machine Learning o Artificial Intelligence. Diciamo che, secondo il mio parere, l’utilizzo che se ne fa a livello industriale e aziendale è ancora minimo, è molto basso. Ma la mia idea è che nel prossimo futuro ci sarà una grossa rivoluzione in quest’ambito dovuta, appunto, all’utilizzo di sistemi di automazione e sistemi di Intelligenza Artificiale”.
E ancora, a proposito del laboratorio PRISMA aggiunge: “Molte delle tematiche che affrontiamo in questo laboratorio, in realtà, hanno una ricaduta nell’ambito di quella che chiamiamo Industria 4.0, perché la possibilità di poter interagire con l’uomo e aumentare le capacità di un processo produttivo (sia dal punto di vista dell’efficienza che dell’esperienza del lavoratore) può essere sviluppata tenendo conto di algoritmi di apprendimento automatico, oppure dei cosiddetti metodi di Machine Learning, in cui tanti dati e tanti esempi vengono dati in pasto ad una macchina che è in grado di generalizzare sulle caratteristiche e di apprendere quali sono quelle più rilevanti per un determinato argomento. Questo dà la possibilità alla macchina di poter interagire con l’utente in tempo reale e comprendere cosa quest’ultimo vuole, come poterlo aiutare”.
Poi avverte anche sui possibili rischi: “Sono le piccole aziende che devono capire come tutelarsi, ma anche noi dobbiamo capire come proteggere la nostra privacy, oppure come fornire i dati soltanto a chi vogliamo e come vogliamo, quindi in maniera più oculata, in modo tale che, chi ne ha bisogno, può avere l’usufrutto di questi dati”.
Sulla possibilità di un approccio mediterraneo all’innovazione, la ricercatrice ritiene che “c’è una caratteristica dell’essere mediterraneo, ovvero la capacità di essere flessibile, che è proprio una delle cose che cerca l’AI, cioè rendere i processi flessibili ed adattabili all’uomo. Quindi è proprio in questo incontro con l’uomo che io vedo la visione mediterranea dell’Industria 4.0: l’interazione e la possibilità che macchina e uomo siano entrambi flessibili e possano trovare dei compromessi durante l’esecuzione dei compiti”.
A cura dei giovani ricercatori dell’Università degli Studi di Napoli Federico II
L’Intelligenza Artificiale– anche conosciuta con il suo acronimo AI– può essere generalmente indicata come l’intelligenza delle macchine. Questa espressione si riferisce a quei sistemi che vengono dotati di software in grado di incrementare l’automazione, la capacità di decision making e quella di elaborazione contestuale della specifica macchina o dispositivo.
Per automazione si intende la realizzazione di una tecnologia e la sua implementazione al fine di controllare e monitorare -in maniera autonoma appunto- la produzione e l’erogazione di beni e servizi: si tratta, generalmente, di compiti precedentemente eseguiti dagli esseri umani. La capacità di decision making, invece, consiste nella facoltà della macchina di trovare soluzioni e reagire correttamente a imprevisti, emulando l’attitudine decisionale umana. Infine, la capacità di elaborazione contestuale, consiste nel carpire più informazioni possibile riguardo al contesto di riferimento del dispositivo e si divide in contestualizzazione passiva (monitorare continuamente l’ambiente e raccogliere informazioni); contestualizzazione attiva (monitorare, raccogliere informazioni e reagire in base a queste); personalizzazione (comportarsi sulla base delle preferenze dell’utente specifico).
La branca della computer science che si occupa dell’AI mira dunque a progettare e produrre macchine intelligenti di diversa tipologia, in grado prima di tutto di detenere informazioni: sono infatti le grandi quantità di informazioni a costituire il bagaglio di conoscenza delle macchine, e sono fondamentali perché esse possano agire e reagire sul modello umano. Inoltre, tali dispositivi devono essere in grado di condurre operazioni di problem solving, percepire le caratteristiche del contesto circostante, manipolare oggetti ed eseguire tanti altri task diversi.
Uno dei principali settori del campo dell’AI riguarda il Machine Learning- anche conosciuto con l’acronimo ML– ovvero il sistema attraverso il quale le macchine imparano a gestire nuove situazioni, grazie all’analisi dei dati, l’allenamento, l’osservazione e l’esperienza. È proprio grazie al Machine Learning che è possibile avere computer sempre più intelligenti.
La ricerca e le applicazioni dell’AI
Oggi gli studi sull’Intelligenza Artificiale costituiscono il cuore dell’innovazione tecnologica grazie alla vastità e alla varietà degli ambiti di applicazione dei sistemi che se ne servono. L’Artificial Intelligence può essere implementata in una serie di dispositivi diversi e per vari utilizzi. Ciò appare evidente dall’osservazione di una delle realtà di ricerca più avanzate ed innovative del panorama italiano: il PRISCA Lab del Dipartimento di Ingegneria Elettrica e delle Tecnologie dell’Informazione (DIETI) dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.
Il PRISCA Lab (Projects of Intelligent Robotics and Advanced Cognitive Systems), che si definisce come una realtà che promuove attivamente ‘la connessione umana tra studenti e ricercatori’ è un laboratorio di ricerca riguardo le avanguardie tecnologiche e la loro implementazione per progetti innovativi, come per i social robotsPepper, Nao e Sanbot, solo alcuni dei dispositivi robotici che il laboratorio ospita al suo interno.
Questo laboratorio, che rientra nel più ampio progetto dell’ ICAROSCenter(Interdepartmental Center for Advances in Robotic Surgery), comprende un’ampia gamma di attività di ricerca che ruotano attorno allo sviluppo di sistemi dotati di Artificial Intelligence: Machine Learning, interazione H2M (Human to Machine), Mobile Robotics.
A colpire maggiormente, però, è la quantità e soprattutto la varietà degli ambiti di applicazione per tali tecnologie, tra cui spiccano il Cultural Heritage (beni culturali), l’e-Health (la salute), quello relativo alle Smart Cities e quello dell’implementazione delle tecnologie per la Gamification (vale a dire l’utilizzo di elementi e modelli mutuati dai giochi per ambiti esterni a quello ludico).
Silvia Rossi, co-chief del laboratorio e docente presso il DIETI si occupa dell’ambito dell’e-Health e dell’assistenza sanitaria, in cui l’hi-tech costituisce una svolta in termini di qualità dei servizi e riduzione dei costi. Ad esempio, una delle applicazioni di maggior successo riguarda i robot utilizzati durante specifiche terapie di riabilitazione di bambini con deficit motori, questo ne aumenta l’engagement e la motivazione durante il percorso. Ancora, questi device si dimostrano incredibilmente utili nel lavoro con bambini affetti da autismo, poiché stimolano l’interazione e facilitano la valutazione e il monitoraggio dei risultati: ‘per una macchina del genere– sostiene Silvia Rossi- riconoscere un sorriso è la cosa più facile del mondo’.
Ma al di là di banalizzazioni e fanatismi l’implementazione ad hoc di tali tecnologie non riguarda solo i progressi in termini di processori e computazione: la vera sfida tecnologica, afferma la docente, sta nel comprendere le dinamiche di interazione fra uomo e macchina (la cosiddetta interazione H2M, Human-To-Machine) e progettare quest’ultima di conseguenza. È proprio per questo che l’interdisciplinarietà costituisce un aspetto essenziale del PRISCA Lab, tra le cui mura si incontrano medici, psicologi, psichiatri, informatici, linguisti ed esperti provenienti dagli ambiti più disparati. Il tutto in un’ottica di integrazione e collaborazione volta al generale obiettivo di comprendere le necessità dell’utente, valutare l’utilità della tecnologia e progettarla in base a questi parametri. Tale approccio, alla base del PRISCA Lab, costituisce anche il cuore della ricerca del settore AI.
Franco Cutugno, professore di glottologia e linguistica anch’egli del DIETI, che si definisce come un ‘docente anomalo, una via di mezzo fra un linguista ed un informatico’, è un esperto di linguistica computazionale, disciplina che descrive le caratteristiche formali del linguaggio naturale al fine di trasporlo in software eseguibili dal computer. La linguistica computazionale, spiega il professore, è un ambito piuttosto vasto, che si potrebbe sintetizzare in due macrosettori: il trattamento automatico della lingua parlata e il trattamento automatico dei testi.
Per quanto riguarda il trattamento automatico della lingua parlata, questo comprende macchine parlanti, sistemi di sintesi vocale e riconoscimento automatico del parlato. Sebbene si tratti di tecnologie innovative e avanzate è essenziale non commettere l’errore di sopravvalutarle: questi sistemi di dialogo, ci tiene a precisare Cutugno, come Siri, Alexa e Cortana, non permettono il dialogo fine a se stesso: essi funzionano se, e solo se, il dominio semantico della richiesta rivolta alla macchina è limitato ai compiti normalmente eseguibili dal dispositivo.
L’impressione che un’Intelligenza Artificiale come Siri possa fare qualsiasi cosa, dunque, è soltanto un’idea di marketing. Brillante, certo, ma pur sempre un’idea di marketing. Da Alan Turing– che ipotizzò un test basato sull’irriconoscibilità fra interlocutore umano e non umano per individuare una macchina pensante- a Philip Dick – che in Do Androids Dreams of Electric Sheep mette in scena un universo in cui tra robot e umani non vi è più nessuna differenza- l’ irriconoscibilità tra intelligenza umana e tecnologica ha sempre costituito un tema di grande speculazione, ma per ora – sostiene Cutugno – è ancora appannaggio della fantascienza.
Arrivando invece al secondo settore della linguistica computazionale, quello relativo ai testi, il professore la definisce come quella disciplina atta a riconoscere gli elementi fondamentali della grammatica e che prova, dato uno specifico testo, a estrarre da esso tali informazioni. Attraverso questo sistema è possibile la realizzazione di software di sintesi automatica, traduzione automatica, estrazione di informazione, sentiment analysis e molto altro ancora.
I vari ambiti di applicazione delle tecnologie sviluppate grazie al supporto teorico e pratico della linguistica computazionale forniscono un ottimo spunto di riflessione circa il non così raro incontro fra hard e soft sciences: uno degli ambiti di ricerca di Franco Cutugno e gli altri membri del team PRISCA Lab, infatti, riguarda l’impiego dell’avanguardia tecnologica nell’ambito del Cultural Heritage, dalle tecnologie museali utilizzate per ampliare e arricchire l’esperienza culturale del museo, ai software che definiscono gli standard di conservazione digitale del patrimonio artistico e culturale (vale la pena a questo proposito di citare le piattaforme online Europeana e Iccu).
Elena Dell’Aquila, ricercatrice presso il PRISCA, è una psicologa specializzata in Psicologia Organizzazionale e Scienze Psicologiche e Pedagogiche. Il suo principale ambito di studio risiede nell’incontro tra tecnologie avanzate e innovative e modelli psicologici riguardo a metodologie educative e tecniche di insegnamento. In particolare tale incontro risulta nello sviluppo di giochi di ruolo virtuali (serious games) finalizzati allo sviluppo delle soft skills.
Punto di partenza sono le teorie di Jacob Levi Moreno, psichiatra austriaco che elaborò una metodologia terapeutica fondata sul gioco di ruolo. Mettendo dunque in pratica una particolare declinazione della metodologia del gioco di ruolo moreniano, la dottoressa Dell’Aquila e i suoi collaboratori hanno sviluppato una serie di RPG (Role PlayingGames) virtuali. Un esempio di serious games simula una situazione di conflitto in una classe e mette alla prova l’insegnante riguardo la sua modalità di gestione della difficoltà. Attraverso un complesso framework psicologico viene testata la capacità del docente di affrontare l’imprevisto. Inoltre, il software presenta un elevato grado di accuratezza nella comunicazione che si compone infatti secondo una struttura multimodale: verbale, paraverbale e non verbale. Dopo aver presentato la situazione all’utente e avergli fatto compiere le proprie scelte l’RPG genera un feedback e restituisce al docente una sintesi del suo comportamento.
Attualmente il programma, rivolto soprattutto a insegnanti di istituti di secondo grado, è distribuito in classi interetniche in 5 diversi Paesi dell’UE: Italia, Belgio, Germania, Austria e Spagna. I trial saranno molto utili per cominciare a varare i risultati e le tendenze che poi saranno analizzati e confrontati al fine di ottenere una prospettiva più accurata della dimensione psicologica del conflitto multiculturale. Più in generale, in ogni caso, si tratta di un ottimo esempio di come gli elementi del gioco possano essere traslati al di fuori dell’ambito strettamente ludico per generare un tipo di conoscenza innovativa e approfondita.
Come illustrato dall’esempio del PRISCA Lab, dunque, quello della robotica intelligente e dei sistemi cognitivi avanzati è un ambito di ricerca che oggi risulta più che attuale e nel pieno del suo sviluppo, grazie soprattutto alla grande varietà delle sue possibilità di applicazione che vanno dall’industria manifatturiera, alle istituzioni culturali fino ad arrivare, infine, all’assistenza della persona. Inoltre, nei suoi 250 mq di struttura, il PRISCA Lab dimostra come la spinta all’innovazione sia particolarmente favorita da un approccio peer-to-peer che si concretizza in uno scambio intellettuale tra ricercatori, docenti e studenti e una solida impostazione collaborativa interfacoltà.
Considerazioni sul futuro dell’Intelligenza Artificiale
Riguardo all’argomento AI i dubbi e le incertezze non sono pochi. Dall’influenza dell’automazione sul mercato del lavoro ai rischi riguardo privacy e cybersecurity dei sistemi connessi, diverse preoccupazioni sono legate all’ottimizzazione dell’Intelligenza ArtificIale. Inoltre, tale espressione, sembra essere rientrata nell’interminabile elenco di buzzword che animano le discussioni online e non.
È dunque necessario sostenere una divulgazione ampia e accurata di tale argomento, poiché la comprensione di cosa è e cosa non è AI e delle sue caratteristiche principali è fondamentale per favorire il suo pieno sviluppo. Si tratta infatti di tecnologie che se comprese bene nel loro funzionamento, nella loro utilità e nelle loro modalità di implementazione, potranno avere un effetto a dir poco incisivo- non a caso si può parlare di ‘quarta rivoluzione’- in tanti e vari ambiti industriali e non solo, come è dimostrato ad esempio dai social robots.
La sfida, dunque, è quella di non restare ancorati ad un livello superficiale della tecnologia e di riuscire a perfezionare l’interazione uomo-macchina la quale, come ogni altro tipo di interazione, si basa sul compromesso e sulla flessibilità.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/03/silvia-rossi-1.jpg402711Alex Giordanohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngAlex Giordano2020-04-04 11:32:302020-04-20 17:01:45Che cos'è l'Intelligenza Artificiale, spiegato con una mini-serie TV
Iniziamo aprile con tanti aggiornamenti direttamente dal mondo dei social: la prima Week in Social del mese risponde presente e vi aggiorna in perfetto stile Ninja.
Facebook propone Facta
Ne abbiamo parlato tante, tantissime volte: Facebook intende andare a fondo sulla questione contrasto alle fake news. Migliaia gli account chiusi e le rilevazioni fatte dal team, ma ora non basta.
Per questo motivo arriva Facta, proprio in questi giorni in cui continuano invadenti le notizie false e allarmanti sul Covid-19. Si tratta di un progetto pilota mirato al fact-checking concentrato su WhatsApp. Un progetto spinto dalle direttive di Agcom per tutelare gli utenti contro la disinformazione sul Coronavirus.
Come funzionerà? Ogni utente potrà inviare a Facta, tramite WhatsApp, messaggi relativi all’emergenza attuale affinché il fact-checking possa verificarne la veridicità. Tutte le info, vere e false, saranno poi riportate sul sito web di riferimento per poter mettere a tutti di consultarlo.
Un servizio gratuito e facile da usare: salvate il numero +39 345 6022504 in rubrica ed inviate messaggi o vocali o immagini di dubbia autenticità. Facta farà un lavoro di analisi e risponderà direttamente sul sito Facta News.
Sarà possibile anche richiedere un aggiornamento quotidiano delle notizie già verificate.
Facebook (ri)lancia Messenger
Ma come, direte voi, non esisteva già?
Sì, ma ecco la novità: Messenger arriva sia su Mac che su Windows con un’applicazione tutta sua. Sono passati molti mesi da quando lo avevamo annunciato e quei test e quelle indiscrezioni che sembrano non arrivare mai, alla fine si rivelano concreti.
Accade perché in tempi di quarantena sono triplicati gli accessi alle piattaforme per videochiamate come accaduto per Zoom e poter implementare anche questa funzione per Facebook si tradurrà in maggiori accessi e utenze.
YouTube sfida TikTok
“Secondo quanto riferito da diverseThe Information,YouTubesta pianificando di lanciareun’applicazione in-app rivale di TikTokper la condivisione di video virali. Si chiameràShortse dovrebbe arrivareprima della fine del 2020.
La feature dovrebbe vivere all’interno della stessa applicazione mobile esistente diYouTube. A quanto è dato di capire, sembra che la funzionalità si ispiri al concetto di TikTok:un feed di video super-brevi che fungono da alternativa avloge clip più lunghiche appaiono suYouTube.”
La scelta di mantenere i video all’interno dell’appmadre, permetterà agli utenti di sfruttare la vasta libreria di musica e colonne sonore su licenza della piattaforma.
Sono tutti dalla stessa parte: i social si battono puntualmente per garantire notizie vere e account reali. Anche Twitter, non è da meno.
These behaviors are in violation of our policies and are a targeted attempt to undermine the public conversation. You can view the accounts we removed in our information operations archive here: https://t.co/th8YdCVcBb
Twitter ha infatti eliminato oltre 20 mila account falsi relativi alla comunicazione dei governi di cinque paesi: Arabia Saudita, Serbia, Egitto, Honduras e Indonesia.
Le altre notizie dai social, in breve
Whatsapp, Facebook ed Instagram in down da più giorni: se pensate che il problema sia solo vostro, tranquilli. Impossibilità di pubblicare e caricare le pagine: o una modifica del sistema o un sovraccarico delle piattaforme.
Medici e TikTok: chi ha detto che è un social per giovanissimi? I medici americani hanno deciso di informare i cittadini in modo semplice e significativo: inviando informazioni tramite TikTok.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/social-media.jpg350650Eleonora Tricaricohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEleonora Tricarico2020-04-04 09:57:222020-04-06 16:20:44Week in Social: con Facta si potranno verificare le notizie sul Covid-19 e YouTube sfida TikTok
I motivi di esclusione dalle cosiddette ICT, Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, possono essere molteplici: la condizione economica, l’età, la mancanza di competenze digitali e la provenienza geografica
È importante non lasciare indietro nessuno, fornendo le stesse possibilità digitali a tutti, formando le persone all’utilizzo di questi nuovi strumenti e fortificando le skill di chi è già dentro il mondo digitale
In un momento delicato e di isolamento, come quello che sta attraversando da febbraio tutta Italia, le possibilità di connettersi con le persone care o di poter condividere un hashtag o una battuta per sdrammatizzare la situazione, rappresentano un barlume di speranza e stanno mettendo in risalto il lato più caloroso e orgoglioso del popolo italiano: ci si fa compagnia dai balconi e da tutte le terrazze e si organizzano contest sui social network, pur di non darla vinta a questo nemico invisibile.
Connessione è unione, e come recita il famoso detto “l’unione fa la forza”.
Il Digital Divide in Italia
Purtroppo oggi, ma anche in altri momenti, una parte della popolazione italiana non può accedere a questi servizi. Questa disuguaglianza sociale è conosciuta come Digital Divide e con una formula ormai standard, è possibile definirlo come “il divario esistente tra chi ha possibilità di accesso effettivo alla tecnologia e chi invece no, parzialmente o completamente”.
Secondo il Report dell’Istat“Cittadini e ICT” (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione), pubblicato a dicembre 2019, la percentuale di famiglie italiane che dispongono di una connessione a banda larga è pari al 74,7%, mentre la percentuale degli individui che hanno utilizzato Internet, negli ultimi 3 mesi precedenti l’intervista, è pari al 67,9% (entrambi dati in crescita rispetto alla medesima rilevazione dell’anno precedente).
Indipendentemente dal numero o dalla percentuale, nel 2020 tutti dovrebbero avere accesso a questo genere di opportunità, colmando questo gap, in quanto il non poterlo fare comporta una serie di conseguenze negative su questa parte di popolazione, che possono essere sintetizzate in due enormi svantaggi:
il primo di natura culturale: si immagini di non poter ascoltare un interessante podcast, di non poter leggere un quotidiano digitale o di non conoscere gli ultimi trend sui social network (anche un meme ritrae l’attualità e l’attualità è cultura)
il secondo di carattere economico: dall’implementazione di una suite mail fino all’installazione di un repositor file condiviso con i colleghi, passando per tutti gli strumenti che rendono possibile lo smart working. Beh, le conclusioni in questo caso sono ancora più immediate.
I motivi di esclusione dalle cosiddette ICT, Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, possono essere molteplici: la condizione economica, l’età, la mancanza di competenze digitali e la provenienza geografica.
Ad esempio, una delle categorie più colpite dal Digital Divide è la fascia che comprende i soggetti anziani (65+): questo fenomeno è anche conosciuto come “digital divide intergenerazionale”. Infatti tra le famiglie composte esclusivamente da persone ultrasessantacinquenni, solo il 34,0% ha accesso a una connessione internet a banda larga.
Una sorta di paradosso se si pensa che una delle categorie che più avrebbe bisogno dei vantaggi del digitale, è quella che ne ha meno accesso.
Gli italiani e il mondo digitale
A sostenere l’importanza della connessione fra le persone, è un altro dato emerso dall’ultimo Report dell’Istat “Cittadini e ICT”, secondo cui i servizi di messaggeria istantanea rappresenterebbero le attività digitali più diffuse fra le famiglie italiane.
Indipendentemente dal device (smartphone, pc, tablet o wearable), le attività legate all’utilizzo di servizi di comunicazione, che consentono di entrare in contatto con più persone contemporaneamente, sono le più comuni, forse perché sono quelle che riescono a far sentire gli utenti come parte di un unico mondo: più di otto internauti su dieci hanno utilizzato, nei tre mesi prima della rilevazione Istat, servizi di messaggeria istantanea e circa il 64,5% ha effettuato chiamate via Internet.
A seguire in questa classifica sui servizi del web più utilizzati dalle famiglie italiane:
Lettura di informazioni e notizie (57,0%)
Intrattenimento (film, musica e/o giochi) (47,3%)
Home banking (46,4%).
Inoltre più della metà degli utenti di Internet (di almeno 14 anni) ha effettuato almeno un acquisto online: precisamente il 57,2%, pari a 20 milioni 403 mila persone.
Ora chi vuol provare ad immaginare questo periodo di isolamento domestico, senza la possibilità di connettersi ad una linea veloce internet? Questo vuol dire senza serie tv on demand, senza videochiamata multipla (un must di questo periodo), senza tutto quello che prevede una connessione con una certa potenza.
Si può partire da questo dato (Istat 2019): fra le famiglie che per scelta non hanno a casa una connessione a banda larga, la maggior parte indica come principale motivo la mancanza di capacità (56,4%) mentre il 25,5% di esse non considera Internet uno strumento interessante.
Osservando i dati del Report emerge che gli utenti (che invece hanno una connessione internet domestica) che hanno competenze digitali basse sono il 41,6%, di base il 25,8% e nulle il 3,4% (pari a 1 milione e 135 mila). Il 29,1% ha competenze digitali elevate.
Va ricordato che dal 2015 la Commissione Europea, in accordo con gli Istituti nazionali di statistica, ha definito un metodo per calcolare la qualità delle competenze digitali degli utenti. Infatti le capacità degli utenti devono corrispondere (con una graduatoria da 0 a 2) a quattro domini di competenza:
Information skill: identificare ed utilizzare di informazioni digitali
Communication skill: comunicare in ambienti digitali (attraverso strumenti digitali)
Problem solving skill: risolvere problemi tecnici, aggiornare le proprie e le altrui competenze.
Software skills for content manipulation: creare ed elaborare contenuti digitali.
Ad esempio per essere un utente con capacità digitali avanzate, bisogna ottenere un livello 2 per tutti i domini di competenza.
L’Italia sta percorrendo la strada della digital transformation, implementando le ultime tecnologie in molti campi professionali e nei servizi al cittadino.
Sarebbe altrettanto importante non lasciare indietro nessuno, fornendo le stesse possibilità a tutti, formando le persone all’utilizzo di questi nuovi strumenti e fortificando le skills di chi già fa parte di questo meraviglioso meccanismo tecnologico.
Anche chi ha competenze elevate può aiutare gli altri: forse ora è proprio il momento giusto.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/digital-divide-1.jpg593943Luca Maucionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLuca Maucione2020-04-03 16:30:532020-04-04 13:21:08Digital Divide e competenze digitali in Italia: a che punto siamo
Dai baby boomer alla generazione Y, fino ai post millennial: come cambia l’uso dei social media, generazione per generazione
Le generazioni Y e Z sono più reattive al fascino delle celebrities sui social rispetto non solo ai baby boomers ma anche alla generazione X
Li usiamo tutti per informarci, intrattenerci, per farci i fatti degli altri, per guardare foto e viaggiare con la mente, per saperne di più su qualcuno, per pubblicizzare noi stessi e la nostra azienda. I social media sono entrati a far parte della vita di ognuno di noi in modi e tempi differenti. L’uso dei social varia, infatti, da generazione in generazione. Ogni fascia generazionale introietta caratteristiche e potenzialità dei social in modo personale e soggettivo.
La percezione del sé, rispetto ai contenuti di cui fruiamo quotidianamente attraverso i social, varia, in particolar modo, se parliamo dei baby boomer e delle generazioni Y e Z.
Baby boomer, generazione Y e post millennial: chi sono?
I baby boomer, nati tra gli anni ’40 e gli anni ’60, sono i cosiddetti “immigrati digitali” , secondo la definizione del 2001 di Marc Pensky. Coloro che non sono nati “immersi” nelle nuove tecnologie e che hanno imparato ad utilizzare da adulti, cioè quando coscienza critica, percezione del sé e identità erano già formate da un pezzo.
La generazione Y, invece, comprende i nati tra gli anni ’80 e il 2000 ed è rappresentata dai “nativi digitali” – sempre secondo Prensky – i figli delle nuove tecnologie, eternamente connessi.
La generazione Z è quella dei post millennial, dei nati dopo il 2000, iperconnessa e multimediale.
Ciò che accomuna la generazione Z e la generazione Y e ciò che differenzia queste due da quella dei baby boomer è, sicuramente, il rapporto con le nuove tecnologie e quindi con i social media.
Generazioni social: strumenti o veicoli d’informazione
La differenza sostanziale nell’uso dei social da generazione in generazione è la percezione, che va da “strumenti” di informazione a “veicoli” di informazione. Sì, perché se per alcuni informarsi tramite i social significa che i social in sé forniscono il contenuto dell’informazione, la realtà è ben diversa. I social sono piattaforme che riempiamo con ciò che vogliamo, ciò che ci piace e ciò che è più vicino ai nostri modi di pensare. Le pagine d’informazione, ad esempio, sono diverse da utente a utente, in base a quelle che si preferisce seguire. Di conseguenza, anche le informazioni saranno – tendenzialmente e pressappoco – diverse.
La generazione dei baby boomer – mediamente, s’intende – tende ad interpretare i social network come fonti informative a cui fornisce una fiducia e una credibilità molto elevata. Questo deriva dal fatto che avendo imparato ad utilizzarli successivamente, non riescono a “governarli” nella loro totalità e il loro utilizzo diventa, quasi, un gioco forza tra piattaforma e utente.
Le generazioni Y e Z, invece, – sempre mediamente – riescono ad avere un quadro più completo del luogo digitale dove si trovano, percependo come fonte non il social network in generale, ma la pagina o l’utente che pubblica il contenuto.
Si tratta di un problema – o meglio di una variazione – della percezione.
Instagram VS Facebook
Le nuove generazioni – gli under 23, soprattutto – si stanno spostando in massa su Instagram, questo è chiaro. Fino a qualche anno fa, Facebook era il social network più utilizzato. Oggi la differenza è netta: generazione Y e Z sono su Instagram, i baby boomer sono su Facebook.
Secondo Marketing Charts, le generazioni adottano comportamenti differenti sui social. In particolare, i baby boomer hanno un comportamento meno interattivo: pubblicano foto e post, non allo scopo di “chiacchierare” con gli altri utenti. Millennial e post millennial, invece, tendono ad usare i social per interagire.
Influencer marketing ed eCommerce
Il concetto di influencer è molto più familiare alle nuove generazioni, per questo esse sono più sensibili all’influencermarketing. In particolare, le generazioni Y e Z sono più reattive al fascino delle celebrities sui social rispetto non solo ai baby boomers ma anche alla generazione X.
Invece, per quanto riguarda gli acquisti online – come accadde per la nascita della Pepsi Generation, pensata preventivamente per i baby boomer di domani – si potrebbe pensare che siano ancora loro ad avere maggiori risorse per acquistare. Eppure, i baby boomer non si lasciano andare agli acquisti tramite eCommerce che guardano ancora non proprio di buon occhio e rimangono ancorati ai negozi fisici.
I giovani, nonostante non dispongano di grandi risorse economiche, rappresentano il principale target di chi fa vendita online.
Ancora una volta, ciò che traspare è il valore dell’interattività. Quell’interattività che differenzia, in sostanza, il comportamento dei baby boomers sui social da quello delle generazioni dei millennial e post millennial.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/generazioni-social.jpg498854Martina Masullohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMartina Masullo2020-04-03 11:10:172020-04-08 12:54:55Social Media: ecco come li usano le diverse generazioni
Approfitta di questa pausa forzata e concentrati su come puoi migliorare il modo di lavorare online, creando giuste strategie
Ecco i 5 TED Talks che non puoi assolutamente perdere
Abbiamo selezionato cinque TED Talks che potranno ispirare e donare un po’ di ispirazione per sfruttare a pieno il vero potenziale dei social media, soprattutto in questi giorni sospesi, in cui ci ritroviamo a casa a dover fronteggiare una crisi, consigliare i clienti, gestire giorno per giorno le nostre attività, trasformando il nostro lavoro.
Può essere interessante, oggi forse più che mai, usare il nostro nuovo tempo libero per la formazione, per lavorare sul domani, pensare alla ripartenza e a cosa fare dopo, quando speriamo inizieremo a lasciarci piano piano tutto alle spalle. Ripensare al valore e al ruolo dei social media nella società.
A cosa dovrebbe prestare attenzione un social media marketer per migliorare il suo modo di lavorare online? Come riflettere sulle difficoltà e trovare soluzioni efficaci per le proprie strategie? Vediamo insieme i TED Talks che ci potranno aiutare a trovare delle risposte.
1. Veronica Civiero: “How social media can share energy”
Docente di digital marketing e social media nelle principali università italiane, Verona Civiero lavora per Facebook. Ha strutturato la sua strategy sulla forza positiva dei social media, considerati come veicoli di energia, forza, tenacia e resilienza.
In una realtà virtuale sempre più inquinata da fake news, pubblicità, haters e cyberbullismo, Veronica ci mostra in che modo e quanto questa vicinanza virtuale possa fare la differenza nel mondo offline. Facebook ha ridotto i 6 gradi di separazione della teoria di Frigyes Karinthya 3,5. Oggi più che mai questo Talk risulta attuale.
2. Jennifer Golbeck: “Your social media likes expose more than you think”
Jennifer Goldbeck è un’esperta di informatica capace di creare modelli per predire varie caratteristiche su tutto ciò di cui condividiamo dati e informazioni sui social media. L’interpretazione di questi dati si usa per semplificare il modo in cui gli utenti interagiscono fra loro, ma anche per scopi meno altruistici, senza che gli utenti abbiano alcun controllo. Si possono prevedere le preferenze politiche, il tipo di personalità, il genere, l’orientamento sessuale ecc.
Come i video virali, anche i “mi piace” si diffondono e contagiano altri utenti come una malattia grazie alla teoria sociologica dell’omofilia e ad altre teorie del comportamento. Qualcuno è in grado di ottenere molte informazioni su di noi. Non è forse arrivato il momento di segnalare agli utenti il rischio delle proprie scelte di condivisione di certi dati e renderli consapevoli sul potere che hanno aziende come Facebook sulle nostre vite?
3. Ruby Bandiera: “Le 7 regole per vivere online”
Autore di libri su innovazione, tecnologia e comunicazione, Rudy Bandiera spiega come ottimizzare la propria presenza online. Siamo tutti online, ma siamo sicuri di conoscere le regole educative comuni per viverci bene?
L’effetto della disibinizione online permette di non sentirsi stressati nell’insultare e diffamare altre persone online, cosa che non sarebbe possibile fare dal vivo. Come ci possiamo proteggere da questi fenomeni? È importante curarsi di ciò che pensano gli altri ma solo di ciò che non giudica. Da questo assioma Bandiera declinca 7 regole per comunicare online in modo consapevole, educato ed efficace per i propri obiettivi, focalizzandosi sull’offrire un’esperienza positiva invece che chiedere qualcosa in cambio.
4. Simon Sinek: “How great leader inspire action”
Lo scrittore e saggista Simon Sinek affronta la questione della comunicazione online codificando il modello del cerchio d’oro, ossia il modo di agire e di comunicare dei grandi leader mondiali. Esso è diviso in tre aree come nella sezione di un cervello umano. Spesso le aziende e i leader comunicano spiegando cosa producono, poi come lo fanno e infine perché, mentre per essere efficaci è importante partire dal motivo per cui facciamo ciò che facciamo, che stimola direttamente la parte più antica del nostro cervello, che guarda caso si trova all’interno: il sistema limbico.
Questo è colui che ci fa prendere decisioni, ma non si esprime con il nostro linguaggio razionale. Le persone compreranno i nostri prodotti o servizi ispirati da ciò in cui crediamo e ci seguiranno più per la nostra capacità di essere guide ispirate da un sogno e da una forte fede piuttosto che leader con un piano preciso, ottime qualifiche e lauti finanziamenti.
5. Raffaele Gaito: “Il segreto del successo è la pazienza”
In questo periodo di quarantena, forse potrà risultare utile rispolverare un’antica virtù: la pazienza. Il digitale, infatti, sembra averci portati a rincorrere la cosiddetta gratificazione istantanea, seguita spesso nei più giovani da problemi di scarsa autostima e scarsa capacità di attenzione. In questo ultimo video Raffaele Gaito, imprenditore digitale, punta i riflettori sull’arte della pazienza: la qualità che ci aiuterà a contrastare la smania di velocità e di scorciatoie verso il successo, che i social media sembrano aver più o meno consapevolmente alimentato.
Essa ci donerà 4 vantaggi, che speriamo potranno tornarci utili quando tutto questo sarà finito:
la tolleranza verso i propri errori;
il tempo per innamorarci del processo (lavorativamente parlando e sì, anche quello da casa);
la riflessione adeguata per prendere decisioni ponderate e
qualche lezione da imparare e portare con sé nel porci obiettivi a lungo termine.
Bonus TED Talks
Ma non poteva terminare qui questo elenco. Perché il mondo dei social media manager è un universo complesso, che non si ferma alle piattaforme e a come utilizzarle, ma spazia dalle visioni sul futuro delle tecnologie a quelle sul marketing e sulla sua evoluzione. Ecco perché abbiamo voluto aggiungere a questa lista altri due contenuti davvero Ninja.
Adele Savarese: “Onde Esponenziali”
Mirko Pallera: “Il nuovo paradigma del marketing trans-personale”
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/04/tedtalks.jpg471913Michela Fenilihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMichela Fenili2020-04-02 11:37:492020-04-02 11:41:225 TED Talks da guardare se sei un Social Media Manager
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