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MSD Italia dona tecnologie e strumenti per supportare le Istituzioni Italiane nell’emergenza COVID-19

MSD Italia si schiera al fianco delle Istituzioni italiane con la donazione di tecnologie e strumenti che consentono il monitoraggio, il trattamento e il controllo dei pazienti cronici da remoto per un valore di mercato fino a 1,5 milioni di euro.

“Come ricordato dal Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro – ha dichiara Nicoletta Luppi, Presidente e Amministratore di MSD Italia – se vogliamo che la curva dei contagi scenda, dobbiamo fare in modo che le misure di distanziamento sociale funzionino anche grazie al supporto fondamentale che le nuove tecnologie di telemedicina e tecno-assistenza sono in grado di garantire grazie alla possibilità, per il paziente, di farsi curare da casa”.

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Gli strumenti per fronteggiare l’emergenza

L’emergenza sanitaria creata dalla pandemia del coronavirus sta generando una serie di pericolosi corollari, tra i quali la difficoltà di accesso alle strutture ospedaliere e territoriali da parte dei pazienti, soprattutto quelli più fragili, anziani, cronici e con comorbidità. Difficoltà di accesso che riguardano anche la medicina generale, primo punto di ingresso dei pazienti italiani alle prestazioni e servizi sanitari, come più volte segnalato sia dalla FIMMG che dalla SIMG.

Ma oltre alla difficoltà di accesso, c’è un aspetto ancor più grave. È il sacrificio di tante vite umane – trentanove tra medici specialisti e di famiglia – vittime del contagio da coronavirus.

Strumenti come il telemonitoraggio domiciliare, il consulto a distanza, il video consulto – come recentemente dichiarato dal Segretario Generale Nazionale della FIMMG Silvestro Scotti – possono servire a fermare questa strage. La criticità dei sistemi di telemonitoraggio domiciliare e di tecnoassistenza è stata opportunamente rilevata anche dal progetto “Innova per l’Italia”, recentemente lanciato dal Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione Paola Pisano, insieme al Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, al Ministro dell’Università e Ricerca Gaetano Manfredi e a Invitalia, a sostegno della struttura del Commissario Straordinario per l’emergenza Coronavirus Domenico Arcuri.

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La donazione nasce da una peculiarità distintiva del Gruppo MSD Italia al cui interno opera la società Vree Health, azienda leader nella progettazione, sviluppo e commercializzazione di servizi innovativi e soluzioni di Connected Health per migliorare la qualità di vita e la salute dei pazienti.

Le piattaforme, le app e i kit di telemonitoraggio con device certificati consentono soluzioni di Disease Management in grado di assistere il paziente cronico e supportare il medico nel monitoraggio costante dello stato di salute e nella migliore gestione delle condizioni cliniche.

“MSD Italia – prosegue Nicoletta Luppi – ha deciso di rispondere alla call for action del Governo con un atto di responsabilità sociale che è nel DNA della nostra Azienda. Vogliamo offrire un contributo distintivo e coerente con le richieste del nostro Governo e annunceremo presto i primi
soggetti istituzionali beneficiari della nostra donazione. Il contributo che MSD Italia intende offrire non si esaurisce con questa significativa donazione che rappresenta solo il primo sprint di una ‘maratona di donazioni’ per testimoniare la vicinanza della nostra Azienda al Sistema Paese in questa grave situazione di emergenza sanitaria, sociale ed economica”.

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Storie di cibo e sostenibilità: 10 documentari sul food che dovresti vedere

  • Il cibo è portatore di valori culturali in declino a causa del mercato alimentare globale 
  • Molti registi hanno raccontato nei loro documentari come l’industrializzazione stia distruggendo la biodiversità nel food
  • Una panoramica sulle questioni più dibattute sul tema, passando attraverso dieci documentari recenti

 

“Siamo ciò che mangiamo”, in questo momento storico forse più che mai. Il cibo è senza ombra di dubbio uno dei topic più discussi del momento, spesso al centro non solo della nostra tavola, ma anche delle nostre conversazioni, online e non.

Non si tratta di una mera questione di nutrizione, il food è cultura e aggregazione. Le tradizioni culinarie locali che si tramandano di generazione in generazione raccontano la storia dei popoli e dei territori in cui sono radicate.

Negli anni, però, le regole dettate dal mercato globale hanno dato il via a un progressivo e sempre più rapido impoverimento dei valori della tradizione e della diversità culturale, in uno scenario in cui l’operato delle piccole comunità locali è asservito alle grandi multinazionali.

Quando ogni forma di contatto tra il consumatore finale e la provenienza di ciò che mangia sembra svanire; le tradizioni culinarie locali diventano sempre più un patrimonio a rischio estinzione, da difendere ad ogni costo.

Food, cinema e vita vera

Da dove arrivano e come vengono prodotti gli alimenti ogni giorno sulle nostre tavole? Qual è l’impatto di ciò che mangiamo sul nostro organismo e sul pianeta?

A queste domande hanno cercato di rispondere molti registi che si sono interrogati sul legame tra il cibo e i consumatori, alcuni approfondendone l’aspetto sociologico, altri dando ai loro film la forma di un’inchiesta di taglio giornalistico.

Ecco una rassegna di dieci documentari a tema food che offrono punti di vista diversi, talvolta anche divergenti tra loro, sulle questioni riguardanti l’industria alimentare in relazione alla salute degli individui e alla sostenibilità ambientale.

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Food Inc. (2008) – Robert Kenner

Candidato all’Oscar come miglior documentario nel 2010, Food Inc. è un film diretto dal regista e autore televisivo Robert Kenner, che pone sotto analisi il sistema produttivo alimentare su vasta scala negli Stati Uniti (e quindi, per ovvie ragioni, interessa tutto il mondo occidentale).

Negli ultimi 50 anni il nostro modo di nutrirci è cambiato più di quanto non sia avvenuto in 10 mila anni, eppure per vendere i prodotti alimentari ci si serve dell’immagine di un mondo rurale e agreste.

Kenner esordisce puntando il dito contro la comunicazione fuorviante e distorta del prodotto alimentare che arriva al consumatore finale.

Con l’obiettivo di tirare su il “sipario” che viene interposto tra noi e il luogo di provenienza di ciò che mangiamo, Food Inc. pone sotto accusa lo strapotere dei colossi dell’industria alimentare, consolidato grazie all’impiego di manodopera a basso costo e materie prime scadenti, che porta sul mercato prodotti omologati ed economici che sono spesso tra le poche alternative abbordabili per molte famiglie americane a basso reddito.

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COWSPIRACY (2014) – Kip Andersen, Keegan Kuhn

Disponibile su Netflix, Cowspiracy è il primo, ma non l’unico, frutto di una collaborazione tra i due registi californiani Kip Andersen e Keegan Kuhn.

Il progetto nasce dal basso grazie a una campagna di crowfounding lanciata dai due film maker, per poi catturare le attenzioni di Leonardo Di Caprio, che dopo poco tempo ne è diventato il produttore esecutivo.

Non sorprende che sia stato proprio Di Caprio a finanziarlo: l’attore hollywoodiano è tra i personaggi di spicco al momento più impegnati nella tutela dell’ambiente e il film è incentrato sull’impatto ambientale che hanno gli allevamenti e le colture massive.

Il sistema di allevamenti industriali genera una quantità di gas serra maggiore dell’intero sistema di trasporti e “per produrre un hamburger occorrono 2500 litri d’acqua”: i dati riportati mostrano uno scenario a dir poco allarmante e derivano da studi condotti da organizzazioni internazionali come FAO, Science Mag, Nasa, World Watch.

What the health (2017) – Kip Andersen, Keegan Kuhn

Se sei tra coloro che faticano ancora a capire perché al mondo ci sono persone che scelgono una dieta vegana, la visione di What The Health potrebbe servire per chiarirti un po’ le idee.

Il film pone il focus sull’aumento esponenziale registrato negli ultimi anni del numero di persone affette da tumori, malattie cardiovascolari e diabete – individuando la causa nel consumo di proteine di origine animale – e tenta di svelare collegamenti poco trasparenti tra le istituzioni governative e le multinazionali del food.

Accusato su molti fronti di essere eccessivamente fazioso e di adottare toni un po’ troppo apocalittici, il film si fa portavoce di quell’ideologia alla base del veganismo secondo cui una dieta onnivora è innaturale per gli esseri umani; punto di vista opinabile, tuttavia largamente condiviso.

What The Health è il secondo prodotto della coppia Andersen-Kuhn, ed è uscito in concomitanza con l’omonimo libro scritto da Eunice Wong, moglie del giornalista Chris Hedges.

Supersize me (2004) – Morgan Spurlock

Grande classico intramontabile e in un certo senso capostipite di un nuovo format di documentari a tema food, si può dire che Supersize me ha spianato la strada a molto di ciò che è stato fatto dopo.

15 anni fa, il regista Morgan Spurlock fu la cavia del suo stesso esperimento, sottoponendosi per 30 giorni ad una dieta esclusivamente a base di cibo proveniente dalla più grande catena di fast food al mondo, McDonald’s, che a Manhattan, dove il regista vive da sempre, ha un punto vendita ogni 0,7 km².

Nel corso del mese, Spurlock fu seguito da un team di medici, che evidenziarono un progressivo deterioramento dello stato della sua salute (aumento di peso, affaticamento, inclinazione alla depressione e disfunzioni sessuali), che richiese al regista 6 mesi di disintossicazione per tornare alle sue condizioni fisiche precedenti.

Il documentario fece parlare di sé, non senza suscitare le reazioni del colosso americano, che emanò poco tempo dopo un comunicato stampa in cui dichiarò che la quantità di junky food ingerita da Spurlock in un mese equivale a quella di un consumatore medio in 6 anni e che gli eccessi sono nocivi in qualunque caso.

That Sugar Film (2015) Damon Gameau

Restando in tema di registi che scelgono di mettere a dura prova il proprio organismo, 10 anni dopo l’uscita di Supersize me, l’attore televisivo australiano Damon Gameau nel primo film diretto da lui replicò l’esperienza di Spurlock, adottando per 60 giorni una dieta ad alto contenuto di zuccheri raffinati.

Secondo i dati raccolti da Gameau, lo zucchero è presente nell’80% dei normali prodotti da banco confezionati, anche di quelli considerati salutari o ipocalorici, e la quantità media di zucchero assunta da un maschio adulto occidentale è l’equivalente di 40 cucchiaini al giorno.

Per tutta la durata dell’esperimento, il regista è seguito da un patologo, una nutrizionista e un medico di base che alla fine del periodo gli diagnosticano un principio di obesità, un altissimo rischio di diabete e un preoccupante ingrossamento del fegato. Damon inoltre riscontrò un senso di affaticamento generale, forti sbalzi d’umore, sintomi della depressione e problemi del sonno.

Per disintossicarsi e riportare i suoi valori al livello cui si trovavano prima dell’esperimento, sono serviti altri due mesi.

The World according Monsanto (2008) – Marie-Monique Robin

Pubblicato lo stesso anno dell’omonimo libro, Il mondo secondo Monsanto riassume un’inchiesta condotta dalla giornalista francese Marie-Monique Robin, durata complessivamente tre anni.

Al centro dell’inchiesta, come da titolo, c’è Monsanto, la più grande multinazionale dell’industria chimica, prima in assoluto sul mercato mondiale degli OGM.

Monsanto si presenta come compagnia agricola con una forte spinta all’innovazione, in realtà è responsabile della diffusione di alcuni tra i prodotti diserbanti più tossici in circolazione nel XX secolo e di epidemie di tumori che hanno colpito la popolazione delle cittadine più esposte.

Robin passò in rassegna un fitto elenco di processi, manipolazioni di dati e ricerche scientifiche, persone messe a tacere dopo aver provato a segnalare attività illecite, episodi di omertà da parte di organi di regolamentazione, quali l’EPA (Environmental Protection Agency) o l’FDA (Food and Drug Administration). L’inchiesta volle portare alla luce come Monsanto abbia di fatto consolidato il suo impero imponendo un nuovo ordine agricolo attraverso i brevetti sulle sementi, e distruggendo le piccole comunità rurali.

 Sustainable (2016) – Matt Wechsler

Disponibile su Netflix, Sustainable è il racconto di un viaggio intrapreso dallo chef Rick Bayless alla riscoperta del legame tra l’uomo e ciò che mangia.

Attraverso il confronto con agricoltori ed esperti del settore, si ripercorrono le tappe che hanno condotto alla nascita del movimento per promuovere la sostenibilità ambientale e alimentare negli USA come negli altri paesi occidentali.

Il film evidenzia come in America (così come in Europa) si stia aprendo un divario sempre più profondo che vede da una parte i fast food e tutti i cibi di produzione industriale a basso costo e dall’altra la cucina d’élite che gli americani vedono per lo più nei programmi televisivi.

Gli Stati Uniti si trovano ad affrontare una grossa crisi alimentare dovuta alla mancanza di consapevolezza da parte del consumatore e ad una perdita di valori culturali legati al cibo.

Sustainable fa appello proprio al recupero di questi valori, nell’ottica di riavvicinare il consumatore al prodotto e innescare un meccanismo virtuoso in cui un antico know how nel settore incontri l’innovazione e le moderne tecnologie.

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ROTTEN – docuserie Netflix

Questa volta non parliamo proprio di un film, ma di una serie documentaristica di cui al momento sono disponibili su Netflix 2 stagioni da 6 episodi l’una.

“Se mangi cibo, questo è un problema di cui devi preoccuparti” è il messaggio fondamentale che viene dato al pubblico: Rotten è un invito alla riflessione e un appello al senso etico e critico tanto del produttore, quanto del consumatore.

Prodotta da Zero Point Zero Production, si tratta di una docuserie in cui ogni episodio è dedicato a un cibo differente e affronta questioni che legano il consumatore al prodotto, svelando uno scenario in cui le grandi aziende alimentari si impossessano del lavoro dei piccoli produttori locali, che non hanno molte alternative.

In tutta la serie si cerca di far luce su meccanismi di frode, corruzione, speculazione che dominano il mercato alimentare mondiale, in uno scenario in cui sono i margini di profitto a decidere cosa diventerà cibo nei nostri piatti e la spregiudicatezza nel vendere oltre misura.

Connected By Coffee (2014) – Aaron Dennis

Connected By Coffee è una storia che inizia con un viaggio tra le regioni dell’America Latina maggiori produttrici di caffè. Il regista e attivista Aaron Dennis raccolse le testimonianze di tantissimi coltivatori e piccoli imprenditori del territorio che stanno plasmando insieme un nuovo modello basato sulla gestione cooperativa dei terreni e delle aziende.

Il film spiega come l’andamento del mercato globale non lasci un grande margine di sviluppo per modelli di business come questo che spesso sono obbligati a sopportare anche condizioni di vita poco dignitose.

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Our daily bread (2010) – Nikolaus Geyrhalter 

Il film diretto da Nikolaus Geyrhalter si potrebbe dire un vero e proprio atto d’accusa nei confronti dell’industria alimentare, freddo e diretto, che lascia parlare le immagini, senza aggiungere interviste, dati, commenti o speech di alcun tipo.

È irrilevante per questo film se una società che produce pulcini si trovi in Austria, Spagna o Polonia, o quanti suini siano trattati ogni anno nel grande macello mostrato nel film. A mio parere questo è il compito dei giornalisti e della televisione, non di un lungometraggio.

Le riprese sono state effettuate dal regista austriaco all’interno delle strutture in cui i prodotti alimentari vengono lavorati e confezionati, per gettare una panoramica dietro le quinte che lasci intendere come non sia sufficiente molto spesso optare per un’alimentazione a base di prodotti bio e priva di proteine animali, perché gli effetti dell’industrializzazione alimentare e della globalizzazione impattano molto più che sul solo cibo.

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#Leggereacasa ai tempi del COVID-19: i libri da leggere e le iniziative solidali delle case editrici

  • Le case editrici si stanno mobilitando per offrire accesso gratuito e sconti, con le iniziative che invitano a #leggereacasa
  • L’editoria riscopre la centralità del tempo nella lettura, in qualsiasi formato
  • Ecco un elenco (temporaneo) di libri gratuiti e scontati!

 

Dalla Solidarietà Digitale all’accesso gratuito e agli sconti dedicati ai lettori, l’editoria diventa un porto sicuro nel quale rifugiarsi, che accoglie lettori deboli e forti che sentono il bisogno di leggere, senza distinzione di formato, contenuto e lingua. I libri diventano una cura alla quarantena con un hashtag che invita a “leggere a casa”.

Leggere è la cura?

Probabilmente, un lettore forte non avrebbe avuto bisogno di una pandemia per riflettere sul potere terapeutico dei libri. Il Covid-19, però, ha sconvolto le nostre vite e ha reso sospeso il tempo che trascorriamo in casa, ridefinendo le nostre giornate e la routine quotidiana.

Per mitigare il senso di solitudine, la noia e le difficoltà che la diffusione del virus ha disseminato anche nelle nostre anime, è possibile attingere alla piattaforma Solidarietà Digitale del Ministero per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione, nella quale molte aziende italiane mettono a disposizione i propri prodotti o servizi in modo grauito.

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Dalle prime pubblicazioni de Il Maggio dei Libri, una campagna ideata nel 2011 dal Centro per il libro e la lettura, si sono moltiplicate in rete innumerevoli iniziative che hanno sottolineato il potere salvifico della lettura come uno strumento utile alla riflessione e alla crescita.

Oggi, tutte le case editrici stanno incoraggiando i propri lettori a non uscire, per poter #leggereacasa.

libri editoria iniziative quarantena

Leggere a casa: tutte le iniziative

Dai libri gratuiti agli sconti degli store online come IBS (dove è possibile acquistare ebook e libri cartacei con sconti fino al 45%), Bookrepublic (con #ioleggoacasa… gratis, concedendo un ebook gratuito fino al 5 aprile) e Mondadori Store (spese di spedizione gratuite), la scelta spazia dai classici ai temi di attualità, con le iniziative solidali di grandi catene e piccole case editrici.

Mondadori ha anche lanciato un bello spot, Io esco con la fantasia, per ricordare – con tono positivo e strappando anche un sorriso – che leggere permette di crescere e liberare la mente. Tra le pagine di un libro si possono vivere infinite storie senza uscire di casa, come recita l’hashtag che firma il progetto: #IoEscoConLaFantasia.

Tra i primi grandi marchi della filiera editoriale a scendere in campo (digitale) si schiera Mondadori con un ebook gratuito a scelta nel vasto catalogo e il Gruppo Feltrinelli che lancia l’iniziativa #leggiamoacasa: una sorta di palinsesto editoriale in onda sugli account social del gruppo, per veicolare non solo titoli in sconto ma anche eventi online, consigli di lettura e presentazioni in compagnia di libri e autori.

#leggiamoacasa_IBS

Mentre le Edizioni E/O rendono gratuito il download di alcuni ebook (come “Vita su un pianeta nervoso” di Matt Haig), la casa editrice Adelphi rende disponibile, attraverso l’iscrizione alla newsletter, il titolo“In cerca di guai” di Mark Twain e altri ebook a scelta tra Moby Dick” di Hermann Melville o Suite francese” di Irene Némirovsky.

Il Saggiatore consente di scaricare gratis un ebook con cadenza regolare e anche Add Editore offre libri in sconto fino al 5 aprile, con una scelta di titoli dedicati soprattutto alla riflessione di temi come il tempo, l’attesa, l’ascolto e la solidarietà.

Sempre fino al 5 aprile sarà possibile acquistare anche gli ebook scontati di NN Editore: la casa editrice milanese si è unita all’inziativa #ioleggoacasa di Bookrepublic.

Las Vegas Edizioni racconta il titolo del giorno attraverso le stories dei propri account social e consente di scaricare quotidianamente un ebook gratuito fino al 3 aprile.

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Ai lettori più piccoli ci ha pensato Gallucci, che ha reso disponibile una selezione di ebook gratuiti.

L’Orma Editore, invece, propone una “passeggiata letteraria” per scaricare liberamente i libri digitali dal loro sito web, con un calendario di pubblicazioni da leggere tenendo lo stesso passo, insieme.

All’appello solidale risponde anche Bao Publishing con #Iostoacasaconbao, offrendo un prezzo scontato (e fisso su tutti gli store) per alcuni titoli in formato digitale: la lista completa può essere consultata negli account social ufficiali.

Una pioggia di fumetti anche da Sergio Bonelli Editore che, dal 23 marzo al 4 aprile, propone l’inziativa “un Bonelli al giorno” ai propri lettori per poter scaricare un nuovo fumetto gratuito ogni 24 ore.

Coconino, invece, ricorre alla piattaforma Issuu per rendere la fruizione dei titoli completamente gratuita con il progetto solidale “Una quarantena di fumetti”.

Se la quarantena diventa un’opportunità per riscoprire le piccole cose, anche per la filiera editoriale diventa un’occasione per rendere visibile l’operato delle piccole case editrici. Anche queste ultime, infatti, stanno attingendo ai propri cataloghi per rendere accessibili i propri titoli ai lettori, come Cartabianca Publishing che presenta i libri gratuiti come un “antivirus”, offrendo una copia di uno degli ebook a scelta dal proprio catalogo (la richiesta può essere effettuata attraverso l’invio di una mail o compilando il form nel sito web).

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Ebook a scelta su richiesta anche dal catalogo Bibliotheka Edizioni, consultando il sito web della casa editrice e inviando un’email per indicare il titolo scelto.

Tra le altre piccole case editrici, anche Cliquot – che regalerà fino al 25 marzo l’ebook Il cavaliere con gli stivali azzurri” di Rosalía De Castro – e La Nuova Frontiera – con l’invio di tre racconti gratuiti attraverso l’iscrizione alla newsletter dal 15 al 29 marzo e le spese di spedizione gratuite per gli acquisti effettuati sul sito web. Invece, Intra Moeniacasa editrice e caffè letterario di Napoli – dedica una sezione del proprio sito web ai libri gratuiti, fruibili e scaricabili (in pdf) alla voce di menu #leggiamoacasa.

La casa editrice bookabook ha raccolto l’appello solidale regalando un libro digitale gratuito: i lettori possono scegliere l’ebook e scaricarlo gratuitamente inserendo un codice dedicato al momento dell’acquisto, fino al 3 aprile.

La Rai dà il suo contributo con Rai Cultura, per dimostrare che “la letteratura non si ferma” riunendo contenuti, speciali e approfondimenti su scrittori ed eventi dedicati all’editoria.

Alcune iniziative mostrano il lato più concreto della solidarietà, come quella di Castelvecchi: con la pubblicazione del titolo “Coronavirus” (a cura di Benedetta Moro), la casa editrice risponde alle domande sul Covid-19 attraverso le parole dell’autrice Maria Capobianchi, direttrice dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, la prima biologa italiana ad aver isolato il virus. Un volume che prova a fare chiarezza sulle prime nozioni acquisite dalla scienza sul virus e che mira a sostenere la ricerca devolvendo i diritti d’autore del volume al laboratorio di Virologia dell’Istituto Spallanzani di Roma.

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La campagna #IoLeggoaCasa promossa da VisVerbi: i giornalisti italiani raccontano le proprie letture

Restiamo a casa e creiamo un dibattito culturale in rete. Questo l’obiettivo della campagna #ioleggoacasa lanciata da VisVerbi, società milanese di strategie di comunicazione diretta da Barbara Castorina e Valentina Fontana, che da anni promuove D’Autore, circuito di rassegne culturali estive realizzate a Ponza, in Liguria e sul Lago di Garda.

L’iniziativa sta coinvolgendo numerosi giornalisti e personaggi dello spettacolo da Gianluigi Nuzzi a Veronica Gentili, Serena Bortone, Alessandro Giuli, Pierluigi Battista, Chiara Maci e Filippo La Mantia, Gianluigi Paragone, Simona Ventura e Giovanni Terzi, Francesca Cheyenne, Alessandro Bonan, Sabrina Scampini, Roberto Parodi e tanti altri.

Perché la cultura unisce ed ora più che mai abbiamo bisogno di sentirci una comunità.

Sulla pagina Facebook e Instagram di D’Autore vengono pubblicati foto e video di giornalisti che consigliano libri e letture. Un modo per incontrarsi virtualmente in un club del libro aperto a tutti.

“Sí, viaggiare…” con un libro

“Books are the plane, and the train, and the road. They are the destination, and the journey. They are home.”

L’autrice e giornalista Anna Quindlen ha utilizzato queste parole in “How Reading Changed My Life” per descrivere i libri che si trasformano in passaporti, porte e ponti, che ci consentono di viaggiare ancora, anche durante la quarantena.

Lonely Planet deve aver pensato proprio ai viaggiatori incalliti nella realizzazione della sua ultima guida home made che invita, con un copy ironico, a restare fermi in casa e a scaricare gratuitamente “Viaggiare in poltrona”, il volume che guida il lettore in una selezione di film, libri e canzoni che possono trasportarci in luoghi lontani, pur restando in casa.

Per viaggiare ancora con le storie, possiamo anche indossare le cuffie e ascoltare gli audiolibri gratuiti su Audible – la piattaforma di Amazon – o attingendo al podcast gratuito “Storie dalla quarantena” realizzato da Letizia Bravi per Storytel disponibile anche su tutte le piattaforme free, come Spotify e Spreaker.

Per un’editoria senza confini, i poliglotti più curiosi possono attingere al repertorio reso accessibile gratuitamente dall’Unesco, con una fruizione gratuita di centinaia di libri, documenti e materiali fotografici della World Digital Library.

Chi, invece, vuole sfruttare il tempo a disposizione per imparare una nuova lingua, può attingere alle risorse gratuite di Zanichelli, che aderisce alle iniziative di solidarietà digitale rendendo disponibili per 90 giorni cinque dizionari (in italiano, inglese, Francese, tedesco e spagnolo).

libri da leggere in quarantena coronavirus

Risorse, tempo e blocco del lettore in quarantena

Le case editrici hanno risposto all’appello della solidarietà digitale rendendo più accessibili o, addirittura, gratuiti i propri cataloghi. A questa quantità di risorse disponibili si contrappone, però, un paradosso vissuto da alcuni lettori in quarantena che stanno sperimentando l’impossibilità di leggere.

Deconcentrazione, indolenza, una sorta di “blocco” che contrasta con l’amore per la lettura, che sembra non rappresentare più un sollievo e un rifugio in questo momento difficile.

Per tutti questi lettori non esiste un antidoto né un rimedio, perché non esiste nessuna “sindrome” che possa descrivere questi momenti durante i quali la lettura diventa un’azione ostica. Bisogna ritrovare il proprio ritmo, rispettare i propri tempi e avere pazienza, anche quando non riusciamo più a trovare risposte o conforto nei libri. Anche la quarantena ci sta insegnando che l’unico modo per comprendere le sensazioni contrastanti è affrontarle, accoglierle, darsi del tempo per analizzarle.

libri quarentena per i più piccoli

Tutti i libri che non abbiamo letto: il tempo per leggere

Questa lista non ha alcun intento esaustivo ed è solo un piccolo contributo per rendere la quarantena un punto di partenza per tutti i viaggi che vorremmo fare, tutte le storie che ci piacerebbe condividere e tutta la bellezza che un giorno ritroveremo anche fuori dalle nostre case e non solo dentro di noi.

Fino ad allora, potremo interrompere l’isolamento rifugiandoci in un libro, nel formato e nelle lingue che preferiamo, cercando un ritmo diverso di una nuova realtà nel tempo dilatato della letteratura.

“Si dovrebbe, almeno ogni giorno, ascoltare qualche canzone, leggere una bella poesia, vedere un bel quadro, e, se possibile dire qualche parola ragionevole.” Goethe

Coronavirus e brand

Da McDonald’s a Chiquita, i brand cambiano logo per incoraggiare il distanziamento sociale

  • Mentre i governi di tutto il mondo fanno fatica a convincere i propri cittadini a rimanere a casa, per frenare la diffusione del Coronavirus i brand si stanno mobilitando per influenzare in maniera positiva i propri consumatori;
  • Coca-Cola, Mc Donald’s, Chiquita e altri ancora hanno cambiato il proprio logo per invitare le persone a rispettare le raccomandazioni ufficiali relative alla pandemia COVID-19.

 

Diventato uno dei maggiori topic della storia contemporanea, la pandemia dovuta al Coronavirus è il più grande problema sanitario, economico e sociale di questa epoca.

Le varie azioni che abbiamo visto intorno a questa condizione sono innumerevoli, dai personaggi famosi alle iniziative televisive per informare e intrattenere durante questi giorni di quarantena, fino ai marchi che amiamo di più. Infatti, grazie all’utilizzo dei social, dei team marketing interni e delle agenzie partner, sono diverse le aziende che stanno cambiando la propria linea editoriale attraverso la comunicazione, che senza dubbio rimane la più grande leva strategica per promuovere l’assistenza al consumatore e affrontare questa enorme emergenza globale.

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Coronavirus e brand: Coca-Cola lancia la sua campagna

L’azienda leader nel mercato delle bevande ha modificato il proprio logo per influenzare le persone a stare distanti tra loro.

Una nuova campagna Coca-Cola è comparsa a Times Square e sui canali social di Coca-Cola Mexico. Il marchio ha separato ciascuna delle lettere che compongono il suo logo per veicolare il messaggio: “Essere separati è il modo migliore di stare insieme”.

 

Queste azioni ci ricordano quanto siano importanti i codici grafici per un marchio. Attraverso elementi visivi altamente riconoscibili i brand anche in questa occasione riescono a comunicare valori al consumatore e indurlo ad azioni responsabili per affrontare il contagio Coronavirus.

McDonald’s Brasile separa i suoi archi dorati

In Brasile, McDonald’s ha modificato il suo logo iconico per incoraggiare la sicurezza durante i giorni di pandemia.

I Golden Arches adesso non più ravvicinati, hanno allo stesso modo lo scopo di trasmettere l’idea del distanziamento sociale.

Coronavirus: i brand che hanno cambiato logo per incoraggiare il distanziamento sociale

Questa non è la prima volta che la catena di fast food altera i suoi archi dorati per sostenere una causa sociale. È successo anche recentemente quando McDonald’s ha capovolto la sua M in W, in occasione della Giornata Internazionale della Donna.

Sebbene nei ristoranti gli archi rimarranno gli stessi, la nuova versione “distanziata” appare ora su tutti gli account social brasiliani del marchio, inclusi Instagram e Twitter. McDonald’s ha più di 1000 ristoranti nel paese e continuerà a servire i suoi clienti attraverso la consegna a domicilio e il McDrive.

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Time Out diventa digitale per il periodo della pandemia

La rivista storica di viaggi britannica ha recentemente cambiato il suo logo in Time In, in “supporto di una politica sanitaria responsabile”.

Coronavirus i brand che hanno cambiato logo

Coronavirus i brand che hanno cambiato logo

Time Out pubblica i suoi numeri regolarmente dal 1968, con una sola interruzione durante uno sciopero del 1981. La rivista al momento ha deciso di sospendere la sua pubblicazione a Londra per diventare digitale: “Con molti abitanti delle città che attualmente lavorano da casa e meno pendolari, anche la rivista Time Out diventerà temporaneamente Time In e passerà al digitale solo per ora”, si legge in una nota.

Miss Chiquita resta a casa

Questa settimana Chiquita ha pubblicato su Instagram una versione del suo logo senza l’iconica mascotte Miss Chiquita. Il copy della didascalia parla chiaro: “I’m already home. Please do the same and protect yourself. ? #stayhome”

Coronavirus i brand che hanno cambiato logo

Mercado Libre aggiorna la sua stretta di mano

Il logo della società tecnologica latinoamericana Mercado Libre presenta l’immagine di una stretta di mano, diciamo non proprio il simbolo ideale ai tempi del contagio.

Coronavirus i brand che hanno cambiato logo

Il rischio epidemia ha imposto un allontanamento sociale in tutto il mondo. Tra le regole anti-diffusione c’è un vero e proprio stop a baci, abbracci e strette di mano. Per questa ragione è stato rielaborato il marchio dell’azienda che include due braccia separate, nel tentativo di comunicare l’importanza della sicurezza durante la pandemia. Da venerdì, il marchio presenta il nuovo logo in tutti i suoi messaggi, dai social all’eCommerce.

“Un’immagine forte e chiara è necessaria per rendere il mondo consapevole dell’importanza delle azioni individuali per garantire il bene comune”, hanno aggiunto Ramiro Gamallo e Matias Lafalla, executive creative director di GUT, l’agenzia di Buenos Aires che ha rielaborato il marchio dell’azienda.

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Audi separa i suoi cerchi come segno di solidarietà

Il colosso automobilistico tedesco Audi ha fatto un’impressionante condivisione contro il Coronavirus. Il logo utilizzato dalla società per anni è stato separato, in coerenza con le misure previste dalla pandemia COVID-19 e per attirare l’attenzione sulla distanza sociale.

 

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Evimizden çıkmayalım, mesafeyi koruyalım, sağlıklı kalalım, birbirimize destek olalım. #FlattenTheCurve #Audi

Un post condiviso da Audi Türkiye (@auditurkiye) in data:

Su Instagram è comparsa una piccola animazione che vede gli anelli dividersi e una frase ad effetto che titola “Manteniamo la distanza”. Man mano che i cerchi si avvicinano nuovamente, appare un altro messaggio che questa volta comunica “Supportiamoci a vicenda”.

Coronavirus i brand che hanno cambiato logo

Volkswagen separa la V dalla W

Sempre per restare nel settore automotive, anche Volkswagen ha aggiornato il suo logo. Un video mostra l’appello della casa automobilistica tedesca, la quale intende ricordare a tutti che per superare la crisi bisogna stare separati.

 

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Per questa ragione con un piccolo escamotage grafico, il marchio separa la “V” e la “W” creando uno spazio considerevole all’interno del logo standard.

Coronavirus i brand che hanno cambiato logo

smartphone pieghevoli

La sfida tecnologica degli smartphone pieghevoli è appena cominciata (e non ci abbandonerà presto)

  • Il futuro della tecnologia nel settore telefonia mobile potrebbe essere legato al design pieghevole dei dispositivi
  • Una piega orizzontale per occupare meno spazio nelle tasche o una piega verticale per favorire più immersione nei contenuti 

 

Parlare di design nel settore degli smartphone non è mai semplice. Oltre alle scelte stilistiche legate al brand (come ad esempio la curvatura degli schermi firmati Samsung) ed altre necessarie per l’usabilità del device, lo sviluppo degli smartphone negli ultimi anni sembra essersi fermato, in favore magari di una maggiore qualità degli obiettivi e delle fotocamere integrate.

La possibilità di offrire uno schermo utilizzabile sempre più ampio, ottenuta mediante l’ingegnerizzazione e miniaturizzazione delle tecnologie presenti sotto il vetro, ha spinto le differenti case produttrici ad optare per scelte stilistiche davvero poco innovative. 

Un allineamento che ha determinato una grande monotonia in tutto il settore della comunicazione mobile. Ma il 2020 sembra essere cominciato con proposte innovative con scelte stilistiche del tutto nuove ed inedite. Stiamo parlando ovviamente dei pieghevoli, il futuro degli smartphone. 

I dubbi e incertezze 

L’arrivo dei pieghevoli sembra abbia portato sul settore delle telefonia mobile una ventata di novità, rivoluzionando il concetto stesso di usabilità di uno smartphone. 

Se nel 2019 Samsung ha aperto le danze col Galaxy Fold (con piega verticale) il capostipite dei pieghevoli, considerato un prototipo più che un vero smartphone, ha suscitato da subito un gran interesse e una gran mole di dubbi. Nel 2020 al Fold è seguito il Galaxy Flip (con piega orizzontale) considerato dai più il primo vero esemplare di smartphone pieghevole con feature da top di gamma.

Fresco di presentazione il Huawei Mate X (con piega verticale) che a sua volta ha offerto altri spunti di riflessione sui pieghevoli. 

Senza dimenticare il Razr di Motorola, che purtroppo pecca di numerose mancanze tanto da non renderlo equiparabile a modelli indicati precedentemente. 

I dubbi sorti subito dopo la presentazione di questi dispositivi sono davvero innumerevoli: è meglio una piega verticale o orizzontale? Il prezzo di questi dispositivi frenerà la loro diffusione? Come risponderanno le pieghe all’usura del tempo? 

Stile e personalità: si ritorna alle origini con gli smartphone pieghevoli

Se hai memoria dei cellulari dei primi anni del 2000, ricorderai la vasta gamma di prodotti disponibili. Ciò che si decideva di acquistare era una questione del tutto dettata dai propri gusti. Non c’erano grandi differenze tecnologiche tra l’uno e l’altro prodotto, si trattava di una mera questione di preferenze ed esigenze. 

Oggi i pieghevoli potrebbero offrirci nuovamente questa possibilità di scegliere. 

Una piega orizzontale per occupare meno spazio nelle tasche o una piega verticale per favorire una visualizzazione dei contenuti più immersiva. Insomma la scelta del design, in base alle proprie esigenze, tornerebbe nelle mani del consumatore. Ma i vantaggi non finiscono qui. 

Ad esempio la possibilità di sfruttare uno schermo più ampio solo in alcuni momenti della giornata potrebbe aumentare di non poco la produttività da uno smartphone oltre alla consequenziale introduzione di numerose chicche e funzionalità aggiuntive specifiche per ciascun prodotto. 

Anche il comprato fotografico potrebbe subire non poche migliorie. Altre alla possibilità di sfruttare le fotocamere in angolazioni inedite, potrebbero essere introdotti nuovi sensori, differenti e certamente più performanti sfruttando il design e la progettazione delle pieghe e delle scocche. 

Non ci resterà che attendere per scoprire tutte le novità in arrivo.

filiera alimentare coronavirus

Gli eroi che combattono il Coronavirus sono anche nella filiera alimentare

  • Questo periodo di emergenza è stato paragonato alla peggiore crisi dopo il secondo dopoguerra ma a quei tempi il cibo non era così scontato 
  • Gli attori della filiera agroalimentare a casa non possono stare devono garantire il cibo a tutti gli italiani che restano a casa
  • Come tranquillizzare gli operatori della filiera agroalimentare in tutte le fasi del processo attuando nuove regole che possano far lavorare tutti in serenità?    

Eroi nelle corsie degli ospedali italiani in questo momento ce ne sono tanti, ma oggi sono qui per parlarvi di altri eroi.

Noi restiamo a casa e diamo per scontato che il cibo sia sempre garantito (anche troppo a vedere le bacheche sui social network di noi italiani in quarantena) anche grazie ad esplicite indicazioni del Presidente del Consiglio, che anche nell’ultimo Decreto del Consiglio dei Ministri, ha chiarito che i negozi alimentari sarebbero rimasti aperti e che i trasporti per le merci di prima necessità sarebbero circolati normalmente.

Questo periodo è stato paragonato alla peggiore crisi dopo il secondo dopoguerra ma a quei tempi il cibo non era così scontato: in tempi di guerra e di epidemie l’approvvigionamento alimentare non era garantito o lo era solo con le razioni settimanali di beni di prima necessità.

Hanno sofferto la fame i nostri nonni o i nostri padri.

Proprio per questo oggi voglio parlare di altri eroi: voglio mettere in evidenza il lavoro svolto da tutti gli operatori che lavorano nella filiera alimentare e che danno a tutti noi la possibilità stare a casa tranquilli e a pancia piena e, ogni tanto, di andare a fare la spesa e trovare comodamente i prodotti necessari sugli scaffali del negozio e del supermercato.

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filiera alimentare coronavirus

La filiera alimentare ai tempi del Coronavirus

Voglio parlare di tutti gli attori della filiera agroalimentare: operatori agricoli, operatori nelle industrie alimentari, impiegati nel settore alimentare, addetti nelle aree portuali o doganali, fornitori di materie prime alle industrie, trasportatori, salumieri, macellai e cassieri.

Loro a casa non possono stare, devono garantire il cibo a tutti gli italiani che restano a casa e, anche se la mattina escono con la paura di poter contrarre il virus essendo a contatto con tanta gente, ti accolgono nel loro negozio con il sorriso, ora nascosto sotto una mascherina.

Anche loro hanno una gran paura e anche loro hanno un padre o una madre anziana o dei bambini che vorrebbero proteggere e potrebbero infettare.

Gli imprenditori alimentari sono in emergenza: come garantire la produzione e la distribuzione degli alimenti rispettando le regole igienico sanitarie e le norme specifiche per ogni tipologia di prodotto, garantendo allo stesso tempo la sicurezza sanitaria ai propri lavoratori? Come tranquillizzare i propri operatori in tutte le fasi del processo attuando nuove regole che possano far lavorare tutti in serenità?

Ristoranti e bar chiudono, e con loro molte aziende collegate al settore HO.RE.CA. (acronimo di Hotellerie-Restaurant-Café), ma altre imprese collegate al settore retail (vendita al dettaglio) assumono personale perché si mangia di più in casa e si fa quindi più spesa. Dati Nielsen ci dicono che durante la settimana tra lunedì 24 febbraio e domenica 1° marzo (ancora non in piena emergenza) le vendite della Grande Distribuzione Organizzata continuano la crescita rispetto alla stessa settimana del 2019: +12,2% a valore a parità di negozi. Più spesa si traduce in una quantità maggiore di alimenti da produrre e confezionare, per cui il riflesso diretto sulle industrie è evidente.

filiera alimentare coronavirus

Ci sono poi imprenditori alimentari che si rendono conto del sacrificio emotivo e fisico che stanno chiedendo ai loro dipendenti così stanziano premi e aumentano gli stipendi, come il Sig. Giovanni Rana, che aumenta gli stipendi ai 700 dipendenti del 25% per ogni giorno lavorato e concede un ticket mensile straordinario di 400 euro per le spese di babysitting, come speciale riconoscimento dell’impegno profuso ai lavoratori impiegati nei cinque stabilimenti in Italia che stanno garantendo, anche in questo momento così difficile dovuto all’emergenza sanitaria del Covid-19, la continuità negli approvvigionamenti alimentari.

È stato necessario quindi in tutte le aziende alimentari ancora aperte per lavorare in modo sicuro per tutti e tranquillizzare gli operatori della filiera alimentare, stabilire nuove procedure e consolidarne di vecchie per evitare che nelle singole aziende possa nascere un focolaio della malattia.

Nei negozi e supermercati le regole da rispettare sono state chiare fin da subito: ingresso scaglionato, sanificanti all’ingresso dei negozi e supermercati, evitare assembramento in ogni fase e indossare guanti e mascherine da sostituire periodicamente. I cassieri, forse i più esposti al contatto con tante persone, puliscono e sanificano la loro postazione con oculatezza e la paura nascosta negli occhi.

Alcune catene come Coop hanno cominciato ad istallare nei loro punti vendita delle barriere in plexigass alle casse per garantire la protezione dei clienti e dei lavoratori.

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gdo coronavirus

Ma chi c’è dietro i prodotti alimentari che arrivano nei supermercati o nei negozi?

Ci sono le aziende alimentari che sono già solite avere norme igieniche di produzione molto restrittive e da questo punto di vista, applicandole severamente, l’operatore che vi lavora dovrebbe sentirsi già più tranquillo. Ecco alcune delle più frequenti e più pertinenti al controllo ambientale del Coronavirus:

  • lavarsi accuratamente le mani con acqua calda, asciugarle e disinfettarle con i sanificanti presenti (generalmente) all’ingresso della sala di produzione degli alimenti, ripetere l’operazione dopo essere stati in bagno, dopo aver mangiato, dopo aver toccato parti del corpo, tossito o starnutito, ad ogni ripresa del lavoro, dopo brevi pause per qualsiasi motivo;
  • le unghie devono essere corte, curate e senza smalto. Non usare trucco, profumi e creme profumate o con odori persistenti. Vietato usare unghie e ciglia finte che posso essere veicoli di contaminazione chimica, fisica e microbiologica;
  • indossare guanti in nitrile (nelle azienda alimentari si esclude il lattice) che vanno cambiati e disinfettati prima di riprendere il proprio lavoro e periodicamente in base ad una accurata analisi del rischio.
  • indossare gli indumenti protettivi relativi alla funzione aziendale ricoperta: la divisa di lavoro non è mai utilizzata esternamente all’azienda alimentare per evitare una possibile contaminazione crociata di natura microbiologica, fisica o chimica degli alimenti; molte aziende si preoccupano di lavare la divisa degli operatori dopo qualche giorno di lavoro (questo elemento è molto variabile in relazione alla mansione svolta in azienda) in modo da essere sicuri della modalità e della temperatura di lavaggio;
  • indossare sempre i dispositivi di protezione individuale relativi alla mansione svolta, tra questi: la cuffia (o un copricapo), calzari o scarpe da lavoro, guanti in nitrile blu usa e getta e la mascherina chirurgica indossata posizionandola sul naso.
  • pulire la postazione di lavoro di ogni operatore con frequenza prestabilita con un sanificante e in assenza di alimenti e, più in generale, intensificare le sanificazioni ambientali in tutti i locali e su tutte le attrezzature preoccupandosi di verificarne l’efficacia.

La mascherina era già un accessorio presente ed indispensabile in molte aziende alimentari. Con l’avvento del Coronavirus ho visto gli operatori alzare la soglia di attenzione e stringere bene la mascherina sul naso, gli stessi operatori che, prima di questa pandemia, la abbassavano scoprendo il naso per parlare con qualcuno.

Le stesse mascherine prima tante fastidiose adesso diventato l’oggetto del desiderio per sé e per i propri familiari.

Le mascherine che nelle aziende alimentari già si usavano, finiscono più velocemente ma oggi gli abituali fornitori rispondono all’ufficio acquisti aziendale che hanno difficoltà ad evadere l’ordine periodico e che la consegna sarà rimandata.

Si consumano quindi più mascherine ed i fornitori aziendali non te ne mandano altre. Questa è la situazione emergente. E le aziende alimentari come faranno finite le scorte?

filiera alimentare coronavirus

Oltre a queste regole di igiene intensificate, l’imprenditore alimentare deve preoccuparsi di evitare gli assembramenti e il contatto ravvicinato degli operatori: a livello logistico si mettono a punto sistemi di segnaletica orizzontali per garantire le distanze di sicurezza, si allargano le postazioni di lavoro o in alcuni casi si montano dei veri e propri divisori in plexiglas per rendere il lavoro più sicuro per l’operatore e per l’azienda; nelle mense e negli spogliatoi si scaglionano i turni per le pause e gli ingressi così da evitare il transito contemporaneo del personale, si migliora l’areazione dei locali e si chiudono le porte agli esterni.

Infatti per adempiere al D.P.C.M. e non mettere a rischio il proprio personale, l’azienda alimentare blocca o limita gli ingressi delle ditte esterne o ne limita l’accesso nelle aree aziendali, evita di far entrare consulenti o altre persone esterne; vieta l’ingresso in azienda di trasportatori o fornitori, obbligandoli dove necessario all’applicazione delle sue regole igieniche. Regole quest’ultime, molto spesso già presenti in azienda ma che adesso prendono corpo e si rafforzano.

Gli imprenditori alimentari si trovano inoltre a combattere con ordini tagliati, soprattutto quelli destinati all’estero, con fatture pagate meno per cambi sfavorevoli e la preoccupazione di non riuscire a produrre ancora alimenti perché se dovesse scoppiare un focolaio in azienda, tutto verrebbe chiuso.

Dobbiamo ricordarci che le aziende della filiera alimentare italiana sono soprattutto piccole o medie aziende in cui il cui grado di digitalizzazione è spesso basso e il lavoro a distanza, il cosiddetto smart working, non è applicabile nella maggior parte dei casi, per fattori intrinseci al prodotto, oltre che per fattori culturali.

Effetto COVID-19: la GDO torna in positivo e punta sull’eGrocery

In Italia, il COVID-19 continua a diffondersi, annullando confini geografici e sociali. Crescono i contagi e, inevitabilmente, aumenta anche il numero delle vittime.

In breve tempo, il virus ha conquistato il monopolio dei media, che lo hanno analizzato sotto ogni punto di vista.

L’impatto sull’economia

Gli effetti dell’emergenza COVID-19, si riflettono anche sull’economia, come abbiamo già avuto modo di analizzare qui su Ninja, che comincia ad accusare i primi forti contraccolpi, facendo registrare un crollo delle principali borse europee, tra cui quella di Milano, che fornisce, numericamente parlando, un ampio spaccato della situazione.

A risentirne maggiormente, sono il settore turistico e quello della ristorazione che, a seguito delle necessarie restrizioni imposte dal Governo, hanno assistito prima ad una forte diminuzione della clientela e poi alla chiusura temporanea dei loro esercizi, che per alcuni risulterà permanente.

Risultato immagini per crollo delle borse

In controtendenza la grande distribuzione

Tuttavia questa crisi non riguarda proprio tutti e c’è chi, come la GDO (Grande Distribuzione Organizzata), ne sta beneficiando. Se l’anno 2020 era iniziato con una tendenza al ribasso, infatti, le ultime settimane di febbraio hanno visto un’impennata delle vendite, soprattutto di articoli per l’igiene e la cura della persona, ma anche di prodotti alimentari, come farina, pasta e riso.

E così, davanti ai supermercati di tutta Italia, si sono formate lunghe code di persone che, prima incuranti della distanza di sicurezza e poi sempre più rispettose delle restrizioni, hanno assalito gli scaffali, riempendo i propri carrelli, per creare scorte sufficienti ad affrontare una probabile, ora reale, quarantena.

Risultato immagini per file supermercato covid scaffali vuoti

Il fenomeno, stando ai dati elaborati dalla Nielsen, solo nella settimana compresa fra il 17 e il 23 febbraio, avrebbe portato ad un incremento delle vendite pari al +8,34%. In questo senso, il Nord-Ovest traina la crescita, con un trend  del +11,20% rispetto all’anno scorso,  seguito dal Nord-Est con un +9,66%, dal Sud con un +6,06% e quindi dal Centro, che chiude sempre in positivo, ma con un modesto  +4,38%.

In particolare, l’aumento degli acquisti è da ricondursi a due principali cause:

  • effetto “stock”, che ha portato ad un aumento a doppia cifra di alcune categorie della drogheria alimentare a lunga conservazione, quali riso (+33%), conserve animali (+29%), pasta (+25%), derivati del pomodoro (+22%), sughi e salse (+19%);
  • effetto “prevenzione e salute”, che ha prodotto un incremento delle vendite delle categorie del cura persona, soprattutto il comparto parafarmaceutico (+112%) e quello dell’igiene personale (+15%).

Risultato immagini per e-grocery

La GDO punta sull’eGrocery durante la crisi Coronavirus

Il quadro attuale però, potrebbe presto capovolgersi, a seguito di nuove pesanti restrizioni, che impongono giorni di chiusura ed intervalli orari ben precisi.

Ad agitare ulteriormente le acque, le proteste dei lavoratori, che temono per la propria salute, e le difficoltà nel limitare il numero degli ingressi. Il rischio infatti, è quello che i supermercati diventino i “nuovi parchi”, ovvero luoghi  di aggregazione in cui la diffusione del virus è facilitata.

Dunque, si prospetta uno scenario instabile, che ad un boom iniziale degli incassi, potrebbe opporre importanti perdite di fatturato, con un aumento esponenziale degli acquisti online, che già ai primi di marzo hanno segnato un +97,2%.

Tuttavia, la GDO, per sedare le minacce, sta integrando – o potenziando – i servizi di delivery, che rappresentano una soluzione non solo per gli over 65, che sono i soggetti più a rischio, ma anche per il resto della popolazione. Siamo perciò di fronte ad una rivoluzione epocale, che potrebbe decretare le sorti del settore agroalimentare: la GDO si sta convertendo all’eGrocery.  

tiktok challenge

TikTok Challenge: Salt e Coronavirus, le due sfide che preoccupano medici e genitori

  • Sono tante le “sfide” che si susseguono sul social preferito dalla Gen Z: la “Salt Challenge”, vede gli adolescenti versare il sale direttamente in bocca dal contenitore; partito dagli Stati Uniti, anche il #Coronaviruschallenge ha raccolto sempre più video;
  • Si tratta di pratiche preoccupanti non solo per i genitori di questi ragazzi, ma anche per il social, che in questo periodo ha messo in campo diverse armi per combattere la disinformazione sulla pandemia.

 

Dagli uomini che intingono parti del corpo nella salsa di soia agli adolescenti che mettono le monete nei caricabatterie per iPhone, nelle ultime settimane sono circolate su TikTok una serie di challenge molto bizzarre.

Ma cosa sono le #Challenge?

L’ecosistema di questa piattaforma ha una particolarità che piace moltissimo agli utenti, le Hashtag Challenge. Gli utenti, applicando la loro creatività, lanciano un messaggio con un determinato tema sensibile o in tendenza. In genere si tratta di sfide positive o divertenti come: #forclimate, #simpaticissimi, #diconodime, #scherziepici, #halloweenmakeup, #keepltvigorsol e #consigliperte.

Il nome della sfida viene assegnato con un #hashtag per facilitarne la riconoscibilità e la ricerca. Anche i brand più importanti stanno cercando di creare e alimentare queste attività puntando ad una diffusione virale tipica del social.

Ora però, ha iniziato a circolare una tendenza molto pericolosa che consiste nell’ingerire un’enorme quantità di sale postando il video sulla piattaforma. La sfida definita “Salt Challenge“, vede gli adolescenti versare il sale direttamente in bocca dal contenitore.

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Mentre il gesto è probabilmente visto dai ragazzi come un divertimento, il fenomeno preoccupa molto medici e genitori.

Quali sono i rischi per la salute?

Il Dottor Simran Deo ha dichiarato: “Come medico raccomando vivamente alle persone di non partecipare a questa attività. Mangiare troppo sale fa molto male alla salute sia immediatamente che a lungo termine”.

Nel breve periodo, a seconda di quanto ne hai ingerito, mangiare troppo sale può essere velenoso per l’organismo. Questo perché aumenta il livello di sodio nel nostro corpo, che può causare sete intensa, confusione, nausea e vomito. In casi estremi può anche portare a convulsioni, coma o può essere fatale poiché gli alti livelli di sodio fanno sì che il cervello si gonfi all’interno del cranio.

Nel lungo periodo invece, mangiare troppo sale nella vita quotidiana influisce sulla pressione sanguigna. Questo perché fa sì che il corpo trattenga troppa acqua, e lo sforzo di pompare il liquido aggiuntivo intorno al corpo fa lavorare il cuore più duramente. Oltre allo sforzo sul cuore, può portare a malattie cardiovascolari come infarto e ictus, pressione alta, mal di testa, calcoli renali e malattie renali.

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La Coronavirus Challenge

Un altro fenomeno che si sta diffondendo sul social TikTok nelle ultime settimane ha dell’incredibile vista l’emergenza che sta attraversando non solo il nostro Paese ma il mondo intero. Si tratta di una challenge chiamata #Coronaviruschallenge che ritrae giovani TikToker leccare parti della casa come maniglie o tavolette del wc.

Un trend partito dagli Stati Uniti, in particolare dalla influencer Ava Louise, ripresa mentre durante un volo lecca la tavoletta del wc. Inutile dirlo, ma il video ha fatto il giro del web in poche ore provocando indignazione ma anche seguito per la ragazza trovando supporter in tutto il mondo pronti ad emulare tale gesto.

I social possono essere un mezzo per creare community, apprendere ed aiutare il prossimo ma data la situazione queste persone andrebbero sanzionate nel rispetto della pubblica sicurezza.

La sicurezza e il benessere dei nostri utenti sono una priorità assoluta per TikTok – ci fa sapere un portavoce dell’azienda -. Come è specificato nelle nostre Linee Guida della community, non consentiamo contenuti che incoraggiano, promuovono o esaltano sfide pericolose che potrebbero causare lesioni. Inoltre, non consentiamo agli utenti di incoraggiare gli altri a prendere parte ad attività pericolose. Questa tipologia di contenuti è una violazione delle nostre linee guida e continueremo a rimuoverli dalla nostra piattaforma. Per mantenere TikTok un luogo sicuro, forniamo una serie di impostazioni di sicurezza all’interno della app e risorse informative nel nostro Centro sicurezza”.

CORONAVIRUS CHALLENGE

Cosa possiamo fare per arginare il fenomeno?

Quello che ogni utente può fare quando naviga all’interno del social, per evitare che il fenomeno si diffonda, è:

  1. segnalare i video con questi contenuti;
  2. non condividere o mettere like a video di questa natura.
  3. Sul sito di TikTok è inoltre disponibile una sezione che include tutte le risorse a disposizione della Community in merito all’emergenza Covid-19.

Tutti gli utenti dovrebbero vigilare con attenzione sulla piattaforma utilizzando i social in modo responsabile ma sopratutto intelligente.

mobile factory accenture google

Cosa significa avere un approccio mobile first e quali sono i vantaggi per le aziende italiane

Non è certo una novità che il mondo digitale stia ormai nel palmo della mano: i tempi in cui gli utenti utilizzavano internet come un sistema asincrono, preventivo, facendo ricerche e richieste per il futuro sono ormai lontani.

Oggi chi accede alla rete cerca informazioni puntuali, in tempo reale. Vuole sapere ciò che lo circonda, e dà per scontata la geolocalizzazione. Si aspetta notizie aggiornate al secondo, in un mondo in cui ormai spesso i social forniscono aggiornamenti su temi scottanti più in fretta dei media. Dà per scontato che i brand, quando interagiscono online, siano tanto veloci, tecnologici e smart quanto lo è lui stesso.

Anche quando parliamo di eCommerce, secondo l’ultimo Report Digital 2020 di We Are Social, “quasi 3 utenti internet su 4 (74%) hanno acquistato prodotti online nell’ultimo mese con device mobili, che superano desktop e laptop attestandosi al 52% di device share per pagamenti online: è la prima volta che registriamo questo sorpasso”.

È un mondo nuovo, diverso, a cui chi voglia sfruttare le potenzialità del digitale si deve adeguare e anche velocemente.

Se da un lato Google sta lavorando da diversi anni a soluzioni e strumenti per il mobile, anticipando il mercato e le esigenze di imprese, brand e consumatori, anche Accenture ha colto questa grande sfida con la recente creazione della sua Mobile Factory, con team dedicati che possano traghettare in maniera molto veloce le aziende da una sponda all’altra di questo cambiamento.

La collaborazione fa leva sulla capacità di adattare e rendere fruibile la tecnologia per andare veramente verso il mondo mobile, abbracciando un paradigma completamente nuovo nella sua interezza, con metodologie e programmi che possano essere adottati velocemente e accelerare la crescita delle performance mobile.

Le esigenze del nuovo mondo mobile first

Sull’onda di questo crescente trend, già dalla fine del 2015 Google aveva iniziato a dare centralità alle AMP, acronimo di Accelerated Mobile Pages, con un progetto Open Source pensato per rendere più accessibili i contenuti via mobile web e per migliorare le prestazioni dei siti su questi device. Un progetto che si è evoluto negli anni successivi all’interno di un ecosistema mobile nel quale oggi termini come speed e PWA (progressive web App) sono ormai entrati a far parte del linguaggio comune nel mondo digitale.

Lo ha confermato Davide Contrini, Managing Director Accenture Interactive, responsabile per il Digital Marketing: “L’utente ormai ha accesso all’informazione via mobile in maniera totale, continua. La fruizione di qualunque contenuto tramite questi device deve essere molto più veloce, tenendo anche conto delle esigenze di localizzazione e di sincronicità: gli utenti spesso cercano risposte da un brand, e vogliono da esso una risposta istantanea e precisa”.

Più veloce è il caricamento di una pagina, più velocemente questa potrà essere visualizzata dai visitatori. Dal punto di vista del consumatore, questo è uno degli elementi più importanti di un sito. Come dicevamo, le persone non vogliono aspettare. Un ritardo di un secondo può significare la differenza tra una conversione o un abbandono.

In effetti, lo dimostrano chiaramente i dati: i tassi di abbandono se non viene erogato un contenuto in meno di 3 secondi aumentano esponenzialmente. Sopra questo tempo, più di due terzi dei consumatori lascia il sito. Questo ovviamente ha un impatto enorme, specie nel mondo degli acquisti online.

La capacità di fornire il contenuto in maniera veloce e allineata all’immagine del brand, specie se il canale online è transazionale, è fondamentale.

Per molto tempo le aziende e gli enti italiani non hanno tenuto conto dell’evoluzione delle esigenze e del comportamento dei propri clienti, ma ormai nessuno può negare che i tempi siano cambiati. È già storia come l’uso di internet da mobile abbia superato quello da desktop anche nel nostro Paese.

Google ha registrato questo cambiamento dal punto di vista delle queries effettuate da questi dispositivi: l’incremento di ricerche del tipo “pizzeria più vicina aperta adesso” denotano un cambio totale di scenario. La necessità oggi è quella di rispondere a un bisogno in tempo reale, con informazioni minimali (e pochi passaggi intermedi per ottenerle) ma accurate. Non importa a nessuno sapere le pizzerie vicine se sono chiuse, o quelle aperte adesso che però non sono a portata (quindi, ricerche anche geolocalizzate). È richiesto un approccio totalmente diverso da quello del mondo desktop, e le aziende che non riescono a stare al passo moriranno presto.

Lo conferma Paola Marazzini, Director Agency and Strategic Partnerships di Google Italia: “In questo scenario è fondamentale per le aziende avere asset digitali che forniscano un’esperienza informativa, di consumo e di intrattenimento all’altezza delle aspettative, sempre più alte.

I consumatori sono sempre più curiosi, cercano di tutto, non solo informazioni ad alto valore aggiunto: sono loro stessi a stabilire il valore di ciò che c’è online”.

Spesso l’ottimizzazione per il mobile è stata considerata come l’ “ultimo miglio” delle strategie digitali, utilizzando plugin che facessero velocemente il lavoro di convertire pagine tradizionali in pagine veloci e mobile-friendly. Con il rischio però di non rendersi conto che, se non si cura adeguatamente questo aspetto, si rischia di vanificare tutto il resto del lavoro.

Uno scenario cambiato che unisce Accenture e Google nel sostenere che parlare di AMP ormai non è più sufficiente: è tutto l’ecosistema web che deve essere preso in considerazione in veste mobile.

Aziende e addetti ai lavori hanno estremo bisogno di soluzioni che permettano di fornire ai propri clienti la miglior modalità di accesso a quello che è il sistema più utilizzato per navigare in rete.

mobile first

Le skill per portare la tua azienda nel futuro

Per “fare mobile” internamente è necessario allocare risorse importanti: il supporto di un partner esterno e di fiducia può essere fondamentale per ottenere metodologie e skill che aiutino le aziende attraverso questa straordinariamente delicata trasformazione.

mobile

Nelle esperienze multicanale, il mobile è sia il punto d’ingresso che l’ultimo miglio dei consumatori. Tutti i settori industriali sono impattati, il B2C in maniera solo apparentemente più diretta che il B2B.

Skill e competenze tecniche sono indispensabili per acquisire la giusta tecnologia, ma anche i corretti metodi e una visione di indirizzo di un mercato in continua evoluzione.

Se ne parla da molto tempo, certo, ma ora ci stiamo davvero addentrando in questo nuovo mondo anche in termini di offerte create ad hoc per il mobile. La capacità di guidare l’evoluzione su questo tipo di tematiche sarà quindi fondamentale.

In un mondo sempre più connesso e sempre più mobile, i confini fisici decadono: l’esperienza utente e la capacità delle aziende di non sprecare il patrimonio di relazione costruito finora saranno sempre più importanti. L’obiettivo finale è quello di cavalcare davvero quest’onda con una visione integrata della navigazione mobile.

social media intelligence

Social Media Intelligence: quali sono le applicazioni?

  • Grazie alla Social Media Intelligence si possono scoprire e conoscere i ‘territori’ nei quali conversano le persone che vogliamo raggiungere
  • Le informazioni strategiche raccolte nelle conversazioni online e gli opinion leader diventano dei veri e propri asset del decision making
  • Grazie al Social Listening si possono prevedere e gestire crisi di comunicazione e reputazione
  • Occorrono competenze nuove all’interno del processo decisionale, per far diventare le azioni sempre più data-driven

 

Quanto tempo passiamo online? Sembra che l’utente internet medio nel corso del 2020 spenderà online un tempo pari a oltre 100 giorni (6 ore e 43 minuti al giorno). Collettivamente, dunque, spenderemo online 1,25 miliardi di anni. Oltre un terzo di questo tempo, 2 ore e 24 minuti al giorno, sarà speso sui social.

Per le aziende si tratta di un’occasione incredibile: come già visto, grazie alla Social Media Intelligence si possono scoprire e imparare a conoscere i ‘territori’ nei quali conversano le persone che ci interessa raggiungere e dunque anche individuare quegli attori che riescono a stimolare gli opinion leader prima dell’azione.

Come? Ecco alcuni degli esempi principali per ottenere il massimo dall’analisi dei dati e dall’ascolto strategico.

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Competitive Intelligence

Una delle applicazioni più utili del Social Listening è la Competitive Intelligence, cioè la raccolta e l’analisi di informazioni su prodotti, concorrenti e qualsiasi altro aspetto dell’ambiente competitivo. Non si tratta solo di analizzare la concorrenza, ma di apprendere il più possibile sul settore di riferimento, sugli stakeholder coinvolti e sui loro discorsi – cogliendo in tempo reale le varie opportunità e tarando di conseguenza il piano d’azione.

Fare intelligence sui Social Media significa approcciarsi ai Big Data con un atteggiamento nuovo, o comunque diverso: non più dati lasciati fuori perché troppo particolari ma integrati, coesi, utili e, soprattutto, completi. In questo modo le informazioni strategiche (i dati raccolti nelle conversazioni in rete) e gli opinion leader (utenti autorevoli che parlano del brand, del prodotto o del tema di interesse e che possono influenzare l’acquisto o le scelte e le opinioni di migliaia di altri utenti) diventano dei veri e propri asset del decision making.

La Competitive Intelligence permette di fare delle analisi approfondite particolarmente efficaci, come ad esempio la comparazione dello share of voice analizzando i volumi di conversazioni oppure la comparazione della percezione relativa alle tematiche presidiate tramite la sentiment analysis. Un approccio che consente anche l’identificazione dei trend e criticità su cui impostare le campagne di comunicazione e le azioni di PR, come anche la comparazione del target e delle audience a cui l’organizzazione si rivolge.

Grazie a questa analisi, insomma, è più semplice impostare delle attività di posizionamento o di gestione della reputazione.

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Gestione della reputazione

La reputazione è un valore fondamentale per le organizzazioni, ormai è quasi scontato dirlo: è talmente importante che è stato coniata l’espressione “the Reputation Economy” per definire l’economia del 21° secolo. Già nel 2015 il World Economic Forum aveva annunciato che il 25% del market value di un’azienda è rappresentato dalla reputazione e uno studio più recente di Reputation Institute ritiene che nella scelta d’acquisto, il prodotto vale sempre meno (il 33%), perché ha perso definitivamente la capacità di essere il fattore distintivo.

La Rete è il primo veicolo per costruire la reputazione di un brand (così come di un prodotto o di un servizio) e i social media assumono un ruolo primario: si è sviluppata una forte disintermediazione tra produttore e fruitore di informazioni, con una centralità sempre maggiore dalle community online.

Grazie alla Social MediaIntelligence si possono analizzare gli andamenti dei discorsi intorno alle tematiche di interesse, conoscere meglio tali community in termini di demografia, interessi e bisogni.

Cosa possiamo fare con queste informazioni? Per esempio interagire con i nodi di riferimento all’interno del network, per proporre a nostra volta dei discorsi che potranno modificare la percezione iniziale.

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Crisis communication

Un’altra applicazione sempre più importante del Social Listening è quella della gestione della comunicazione di crisi.

Nella sfera sociale digitale la crisi è un frenetico accavallarsi e rincorrersi di conversazioni, in cui ogni interlocutore lascia la propria impronta valoriale, aggiungendola a quella di chi l’ha preceduto. Ogni utente poi, tende a portare il proprio contributo, innescando spin-off conversazionali che si aggiungono, in termini di impatto reputazionale, a quelli già in crescita, come ricorda Daniele Chieffi in Online Crisis Management: Strategie ai tempi dei social media.

La previsione della crisi è l’attività cardine del crisis management, possibile grazie ad un ascolto continuo dei social network e delle conversazioni relative ai temi che toccano da vicino l’azienda.

Grazie alla sentiment analysis, ad esempio, si può anche essere immediatamente aggiornati in caso di repentine evoluzioni negative nell’opinione della audience. E anche una volta che la crisi è scoppiata possiamo monitorare l’ambiente di riferimento, comprendere come intervenire e interagire con i nodi più importanti del network: si potrà ad esempio analizzare il sentiment della copertura media, il tenore della reputazione e la capacità di penetrazione e d’influenza della linea di comunicazione e dei messaggi decisi a livello strategico.

Social Media Intelligence e Data-driven strategy

È evidente che occorrono competenze nuove all’interno del processo decisionale, per far diventare le azioni sempre più data-driven. Per le aziende non è solo necessario acquisire nuove competenze professionali, ma anche imparare ad agire all’interno di un ecosistema sociale digitale, dove agiscono dinamiche di tipo psicologico, sociologico, antropologico.

La differenza? La farà chi sarà stato bravo a dotarsi di figure professionali che vadano al di là dell’analisi del dato, ma che sappiano interpretarlo, aggregarlo e comunicarlo.