Circa 1 milione di persone erano attese per l’evento del presidente Donald Trump a Tusla. La risposta all’invito online aveva subito reso chiaro che l’arena per il comizio con una capacità di 19 mila persone non sarebbe bastata a contenere il pubblico.
E così in Oklahoma l’organizzazione della campagna Trump era corsa ai ripari attrezzando mega-schermi all’esterno del palazzetto e prevedendo tutto l’apparato di sicurezza necessario in caso di eventi così affollati.
Peccato però, che l’evento sia andato praticamente deserto rispetto alle attese.
Molti dei potenziali partecipanti, infatti, erano utenti dei social, soprattutto millennial, che si erano abilmente organizzati suTikTok per trollare il presidente.
La settimana scorsa, Trump aveva twittato “Quasi un milione di persone hanno richiesto i biglietti per il Rally del sabato sera a Tulsa, Oklahoma” e un funzionario locale aveva dichiarato che erano attese 100.000 persone nell’area. Ma sabato, i partecipanti registrati non hanno riempito l’arena del Bank of Oklahoma Center di Tulsa, costringendo di fatto il team Trump ad abbandonare i piani di gloria.
Uno sforzo coordinato era in corso su TikTok: si invitavano le persone a registrarsi online per l’evento gratuito e poi a non presentarsi.
TikTok si stava trasformando in uno strumento di azione politica e di protesta.
Il responsabile della campagna Trump 2020, Brad Parscale, ha dichiarato alla CNN domenica: “I troll di sinistra e i troll online che fanno un giro di vittoria, pensando di aver in qualche modo influenzato la partecipazione ai rally, non sanno di cosa stanno parlando o come funzionano i nostri rally”. Aggiungendo poi che “iscriversi a un rally significa rispondere con un numero di cellulare. Abbiamo costantemente eliminato i numeri falsi, come abbiamo fatto con decine di migliaia di persone al rally di Tulsa, per calcolare il nostro possibile bacino di partecipanti. Queste richieste di biglietti fasulli non sono mai state prese in considerazione“.
A beffare la squadra di Trump è stata una signora, Mary Jo Laupp, che vive a Fort Dodge, Iowa, e ha un migliaio di follower su TikTok. La donna ha incoraggiato dal social media le persone ad andare sul sito web di Trump, registrarsi per partecipare all’evento e poi non partecipare.
Così accanto a balli, sfide comiche e scherzi, l’appello della signora è diventato una challenge a sè. Gli utenti hanno iniziato a pubblicare video che mostravano che anche loro si erano registrati all’evento. Post simili anche su Instagram e Twitter hanno registrato migliaia di “Mi piace”.
In particolare un video, con più di un quarto di milione di visualizzazioni, ha invitato i fan della musica pop sudcoreana ad unirsi alla campagna di trolling. I follower della musica, nota come K-pop, sono una forza sui social media – solo l’anno scorso hanno postato oltre 6 miliardi di tweet. E hanno una storia di azioni a favore della giustizia sociale. All’inizio di questo mese,si erano radunati anche intorno al movimento Black Lives Matter.
Così, alla fine sabato sera, mentre le immagini mostravano l’arena semivuota, i giovani festeggiavano su TikTok e anche la rappresentante democratica Alexandria Ocasio-Cortez ha twittato sul tema taggando il responsabile della campagna di Trump.
Actually you just got ROCKED by teens on TikTok who flooded the Trump campaign w/ fake ticket reservations & tricked you into believing a million people wanted your white supremacist open mic enough to pack an arena during COVID
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/trump-tiktok-tusla.jpg397848Daria D'Acquistohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDaria D'Acquisto2020-06-22 09:13:032020-06-23 09:16:04Trump trollato dal popolo di TikTok e dai fan del K-Pop
Obbligatorie da indossare nelle aree pubbliche in base alle ultime direttive dell’OMS, le mascherine sono una necessità contro il Covid-19;
Anche le statue in giro per il mondo hanno dato l’esempio, in questi mesi lanciando il messaggio: “Hey, ti sei ricordato di indossare la mascherina?”;
Sempre le statue sono al centro di grandi polemiche in questi giorni in relazione alla protesta Black Lives Matter.
Anche loro con la mascherina, poi imbrattate, decapitate, al centro delle polemiche. Le statue, simbolo o fantaccio della storia e della memoria, sono tornate ad aver un ruolo importante nella società odierna.
Negli ultimi giorni è stato il movimento internazionale seguito alla morte di George Floyd a entrare “nella storia” con un messaggio forte: “liberarci da una concezione dell’eredità europea che ci rende arretrati e ci impedisce di comprendere il mondo”. E per farlo ha utilizzato i simboli tangibili della memoria collettiva, facendo cadere, nel vero senso della parola, le statue nelle piazze di tutto il mondo.
Poi ci sono le altre statue, quelle che negli ultimi mesi si sono vestite di mascherine, per comunicare un altro messaggio importante: la necessità delle misure di distanziamento e di prevenzione sanitaria.
Le proteste del Black Lives Matter
Da Colston a Churchill, dai generali sudisti a Indro Montanelli, le statue di tutto il mondo sono state oggetto della protesta.
La svolta simbolica delle contestazioni ha investito l’universo delle immagini, i monumenti celebrativi di personaggi storici razzisti, che in molte città statunitensi ed europee sono stati vandalizzati, abbattuti, o fatti oggetto di atti ufficiali di rimozione.
Con la decisione della speaker della Camera degli USA, Nancy Pelosi, di rimuovere tutte le statue dei confederati che si trovano a Capitol Hill, sede del Congresso, e quella della Marina americana di ammainare per sempre la bandiera di battaglia confederata in tutte le basi, navi, aerei e sottomarini.
Cosa faremo di questi spazi vuoti è la domanda successiva. Pensando a costruire un futuro più giusto per tutti.
FFP2, FFP3, chirurgiche. Non si trovano. Servono. Non servono. Obbligatorie solo per i medici e gli operatori sanitari. Al costo di 0,50 cent. L’OMS, con le nuove linee guida, ha infine cambiato rotta: “obbligatorie da indossare nelle aree pubbliche”.
Un must have, non da intendersi nel senso fashion del termine, ma proprio alla lettera. Must have che farà parte sicuramente delle nostre mise durante la stagione primavera-estate 2020. Dopo si spera di farne a meno.
Non si tratta di borse, né di foulard o occhiali da sole, sebbene prima di uscire siano spesso dimenticate con la stessa frequenza. Ne abbiamo sentito parlare nei tg, nei salotti tv, sui giornali e c’è chi ancora ne discute l’effettiva utilità.
Sono state, a volte, protagoniste di sequestri, perché irregolari, prive delle caratteristiche dichiarate da produttori e venditori e oggetto di importazione con modalità non consentite. Sono loro: le mascherine.
Antipolvere, chirurgiche, facenti parte dei dispositivi di protezione individuale. E sono anche in tessuto, ultimamente colorate o con fantasie originali.
Oggi sappiamo che vanno indossate, sono obbligatorie negli spazi confinati o all’aperto in cui non è possibile o non è garantito il distanziamento fisico. In alcune regioni l’obbligatorietà è stata estesa anche ad altri contesti. A spiegare come usarle in maniera dettagliata è l’Istituto Superiore di Sanità.
Must have considerato accessorio alla moda o colpevole di non consentire il libero respiro. In ogni caso, così come dichiarato dal New York Health Board durante la spagnola del 1918, vale la regola: “Meglio ridicoli, che morti”.
Che cosa centra l’arte in tutto ciò? Si sa, l’arte è l’espressione dei popoli e allora se siamo tutti con la mascherina anche l’arte va in maschera.
O forse no. L’arte va in maschera per dare l’esempio, per lanciare e confermare il messaggio già emanato dalle istituzioni competenti.
Sì, perché pare che non tutti abbiano ancora ben recepito le direttive. E allora? Ecco che anche alcuni modelli simbolo come le statue indossano la mascherina.
Identificative di alcune città, simbolo di libertà, rappresentanti di determinati valori e, perché no, anche di cultura e traduzioni, sono oggi con bocca e naso coperti.
Da Helsinki a Perugia, da Dresda a Santo Domingo, il coronavirus invita tutti a mettere le mascherine. A ricordarcelo in giro per il mondo le statue, che diventano parlanti per lanciare il messaggio: “Hey, ti sei ricordato di indossare la mascherina?”.
E allora, ecco che un gigantesco Buddha in Thailandia dà il buon esempio, coprendo il viso con una mascherina rossa.
In Brasile, il paese più colpito dell’America Latina, sul Cristo Redentore di Rio, invece, sono direttamente proiettati mascherina e hashtag #MascaraSalva (la mascherina salva).
A New York, The Fearless Girl non sembra meno fearless con naso e bocca coperti. Anche il monument simbolo di Bruxelles, il Manneken-Pis, non perde la sua irriverenza indossando la mascherina. E, ancora, la indossano Woody Allen a Oviedo; l’imperatrice Augusta nel complesso Rhineland-Palatinate a Koblenz, in Germania; la Lady con il cagnolino davanti al teatro internazionale Chekhov Sakhalin in Russia; a Seattle la indossa la statua The Electric Lady Studio Guitar di Daryl Smith; la indossano anche le otto statue dorate, rappresentati i diritti dell’uomo, che fiancheggiano Trocadero (Parigi); stessa mascherina per Freddie Mercury a Montreaux, in Svizzera.
L’iconica Marylin Monroe di Seward Johnson nel Maryland è sicuramente indimenticabile, con la classica gonna al vento e naso e bocca coperti.
Lo stesso vale per il toro di Arturo Di Modica nel distretto finanziario di New York.
Per le statue italiane, la indossano le sfingi della Fontana del Seguro di Piazza Mercato a Napoli; Mike Bongiorno a pochi passi dal Teatro Ariston ne indossa una con la scritta “Allegria! E il virus va via”. E la cosa non può far altro che strappare un sorriso; a Barletta, Eraclio, statua di quattro metri e mezzo ne ha indossata una per qualche ora, per essere poi rimossa.
Le mascherine sono diventate, dunque, un accessorio imprescindibile nella nostra quotidianità. In un primo momento si derideva bonariamente chiunque le indossasse in aeroporto o in viaggio nelle città turistiche, oggi se ne riconosce l’utilità.
E, allora, la prossima volta che vi sentite sciocchi o frustati per averla indossata in pubblico, chiudete gli occhi e immaginate di essere un’opera d’arte. Se proprio va male, sarete a fianco del Cristo Redentore di Rio.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/mascherine-statue.jpg468522Guenda Espositohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGuenda Esposito2020-06-20 12:30:592020-06-22 15:51:33Statue, Coronavirus e Black Lives Matter: come comunicano le piazze
L’universo social è inarrestabile. Anche questa settimana, ti proponiamo tutti gli aggiornamenti che non puoi assolutamente perdere. Sei pronto? Ecco le notizie principali.
Una notizia già annunciata dallo stesso Zuckerberg lo scorso gennaio, durante la presentazione dei risultati finanziari aziendali.
Pochi giorni fa, il CEO di Facebook ha dedicato al lancio di WhatsApp Pay un post nel quale rivela “Il Brasile è il primo Paese in cui stiamo estendendo ampiamente i pagamenti via WhatsApp. Ne arriveranno presto altri!”.
E in attesa che questo servizio giunga anche in Italia, esploriamolo insiemepiù nel dettaglio.
WhatsApp users in Brazil can now send money to friends and family or pay a business right from your chat ??? pic.twitter.com/BwrcCq9CJW
Dai primi indizi relativi al lancio del servizio in Brasile, si intuisce che WhatsApp Pay funziona sia come metodo di pagamento fra aziende e utenti (quindi, nell’ambito di una chat di un sito eCommerce che si affida a WhatsApp Business, adesso il compratore può pagare senza bisogno di uscire dall’applicazione), sia per le transazioni di denaro fra persone.
“Rendere semplici i pagamenti può aiutare a portare più aziende nell’economia digitale, aprendo nuove opportunità di crescita. Inoltre, stiamo rendendo l’invio di denaro ai propri cari facile come inviare un messaggio. Poiché i pagamenti su WhatsApp sono abilitati da Facebook Pay, in futuro vogliamo rendere possibile alle persone e alle aziende di utilizzare le stesse informazioni di pagamento in tutta la suite di applicazioni Facebook”, spiega il blog ufficiale di WhatsApp.
Non mancano gli accorgimenti per la sicurezza: “Abbiamo costruito questo servizio di pagamento pensando alla sicurezza, – dichiara Facebook– per evitare transazioni non autorizzate, sarà necessario uno speciale PIN a sei cifre o l’impronta digitale (o il riconoscimento del volto, per alcuni smartphone ndr)”.
Al momento, in Brasile WhatsApp Pay supporta le carte di debito e di credito del Banco do Brasil, Nubank e Sicredi sulle reti Visa e Mastercard.
Facebook lancia il Centro Informazioni per il Voto
In vista delle imminenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti, Facebook lancia un Centro Informazioni per il Voto.
Stando a una dichiarazione rilasciata da Zuckerberg a USA Today, il Centro per le Informazioni di Voto svolgerà un ruolo chiave per incentivare la partecipazione alle urne.
Stiamo creando un nuovo Centro Informazioni per il Voto con informazioni autorevoli, tra cui come e quando votare, nonché i dettagli sulla registrazione degli elettori, sulle votazioni per posta e le informazioni sulle votazioni anticipate […] Questa novità comparirà nella parte superiore del feed di Facebook e su Instagram per assicurarci che tutti possano vederlo.
Facebookpubblicherà anche un promemoria per il giorno delle elezioni – feature dimostratasi particolarmente efficace nel favorire la partecipazione degli elettori in passato.
Inoltre, la piattaforma ha reso nota l’imminente release di una nuova opzione per bloccare le inserzioni politiche.
“Gli utenti saranno in grado di disattivare gli annunci a tema politico, elettorale sociali provenienti da candidati politici e altre organizzazioni che hanno il disclaimer politico ‘pagato per’ [….] questa funzione sarà disponibile per tutti gli user statunitensi nelle prossime settimane”.
Facebook sta lanciando l’opzione negli Stati Uniti, ma prevede di estenderla anche ad altri Paesi, in futuro.
In pratica, quando vedremo un annuncio politico nel nostro feed, dovrebbe comparire un’opzione nel menu a discesa dell’ad per disattivare tutte le future inserzioni analoghe.
Youtube aggiorna il suo Marketplace per l’Influencer Marketing
La crescita dell’influencer marketing, soprattutto per le piattaforme video, ha spinto YouTube ad aggiornare il suo marketplace dedicato. Ecco che FameBit diventa BrandConnect.
Finora FameBit ha agevolato la connessione tra i brand e gli influencer selezionati da YouTube attraverso il processo di pubblicazione delle campagne di seguito illustrato:
Come spiegato da Youtube, BrandConnect mira a “rendere più semplice per i creatori e i marchi la creazione di branded content autentici ed efficaci […] Per i creatori di contenuti, abbiamo sviluppato strumenti per agevolarli a trovare un match con possibili brand partner […] Per i brand, abbiamo aggiunto nuovi indicatori come il Brand Interest, il Peso dell’Influencer, e le visualizzazioni organiche attraverso le conversazioni, tutti dati che forniscono misurazioni delle campagne in tempo reale, rendendo evidenti i loro risultati”.
La nuova piattaforma BrandConnect prenderà il posto di FameBit il 1 agosto. Gli influencer interessati a registrarsi per ricevere proposte dai brand devono avere almeno 25.000 iscritti.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/whataspppay.jpg498698Giulia Migliettahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulia Miglietta2020-06-20 09:30:262020-06-22 17:40:11Week in Social: da WhatsApp Pay a Brand Connect di YouTube
Questa volta, a dividere Italia e Slovenia, c’era una squallida rete metallica, di quelle da cantiere, con appese le solite circolari. Un manifesto ingiallito sulla strada per Jesolo ricorda che nessuno è stato al concerto di James Blunt, il 27 marzo a Padova, e che dopo non ci sono stati altri concerti, né altri manifesti.
Eppure la gente corre verso il mare, in una realtà un po’ sospesa tra il trauma di ciò che è stato e i fantasmi di ciò che sarà.
Foto: David Mazzerelli
Dicono tutti che che dovremo scordarci la vita di prima. Un cartello alla porta di un hotel sul lungomare dice: “Alla prossima stagione!”. I media sono generosi di profezie sul futuro ma scarseggiano i commenti di chi si chiede come mai un virus proveniente dalla Cina abbia trasformato la nostra società in una puntata di Black Mirror.
Tempo di bilanci: quando è stato il momento esatto in cui abbiamo deciso che la sospensione delle libertà fondamentali fosse una cosa accettabile?
Ricordo un libro che avevo letto e un museo che avevo visitato, quattro anni fa. Il libro si chiama “Il Ministero della Paranoia” e il luogo è l’ex Ministero della Sicurezza di Stato, a Berlino. Cerco l’autore, Gianluca Falanga, classe 1977, a Berlino da vent’anni.
Lo trovo, non senza qualche difficoltà (come giusto che sia, dato il suo lavoro, penso tra me e me). Oltre che uno storico, Gianluca è anche è il responsabile dei programmi culturali al museo della Stasi a Berlino Est, all’ex penitenziario della Stasi di Hohenschönhausen e al Memoriale di Lindenstraße a Potsdam.
Fissiamo di sentirci al telefono, mi chiede di anticipargli di cosa parleremo: gli mando due cose su WhatsApp, la prima è un graffito sui muri di Mestre, in cui un geniale writer ha scritto “Covid-1984”. Il secondo è un articolo di Repubblica: “4 italiani su 10 reputano giusta la sospensione della democrazia”.
Gianluca Falanga
Entrambi hanno percepito un’anomalia nel sistema: sia chi ha preso spray e bomboletta sia chi ha risposto al sondaggio. Come mai le conclusioni sono così differenti?
«Il romanzo di Orwell racconta un futuro distopico – sottolinea Gianluca – chi ha fatto quella scritta credo si riferisse all’atmosfera del sospetto da Guerra Fredda, paragonata all’attuale situazione sociale».
Abbiamo trovato la prima analogia tra il mondo della Stasi e il nostro tempo post-Covid? «Il senso del sospetto è sicuramente un elemento inquietante che hanno in comune queste due realtà», conferma Falanga.
Se prima purtroppo la diffidenza era per lo più concentrata verso chi era percepito “diverso” da noi, adesso la stessa diffidenza diventa onnicomprensiva. Non stiamo parlando solo del celebre elicottero di Barbara D’Urso in diretta TV, ma anche della spinta a denunciare il tuo vicino “irresponsabile” ovunque e comunque.
Chi “fa la spia” parte sempre da tre presupposti: che ci sia una convenienza nel farlo (la propria incolumità, in questo caso?), che la legge vigente sia giusta e che il pensarla diversamente sia un atto meritevole di sanzione economica e reprimenda sociale.
«La Stasi questo meccanismo lo conosceva, lo alimentava e ne faceva da regia, generando nelle persone il sospetto e dando loro gli strumenti per alimentarlo. Nei nostri tempi caotici il sospetto è mosso dalla paura: più grande è il caos, più grande è la paura».
Catastrofismo da TG
La narrazione mediatica di questi mesi è sicuramente una delle parti più complesse dell’intera questione. Quel è stato il motivo di questo martellante “mood catastrofistico”? Ragionare solo in termini di copie vendute, audience o click sembra riduttivo.
Il paragone con l’epoca della Stasi stavolta è facile: «Con mio grande stupore – sottolinea Falanga – i media hanno messo in scena un flusso informativo a senso unico con pochissime voci contrarie. È stato interessante anche notare la campagna violenta contro chi organizzava, o anche soltanto dichiarava di voler organizzare, manifestazioni di dissenso».
La comunicazione da “chiudete tutto o moriremo tutti” sembra in contrasto con quello che eravamo abituati a sentire: sacrosante apologie della democrazia, del dissenso e della libera manifestazione di pensiero. Ci avevano ripetuto fino alla nausea che eravamo vaccinati da 70 anni di democrazia, che non avremmo mai più permesso a uno Stato nazionale di violare la nostra libertà. E se anche qualcuno avesse soltanto osato proporlo ci sarebbe stata un’opinione pubblica che si sarebbe opposta in maniera netta.
Falanga è tranchant: «Non credo esistano vaccini per tutto questo. Molte generazioni non hanno mai respirato l’aria di regime, così come altrettanti giornalisti, ma hanno conosciuto timori e insicurezze, ed è proprio nell’insicurezza che germoglia il desiderio di decisioni e personalità forti. Questa narrazione mediatica è figlia della paura e dello smarrimento. A confronto del 2020, il periodo della Guerra Fredda fu un periodo stabile, c’erano gli Euromissili, è vero, ma c’era anche l’ottimismo, che oggi manca».
Barattare la propria libertà
La Stasi deteneva molti tristi record, tra cui la densità di spie tra la popolazione: una ogni 59 cittadini. Una macchina del controllo che andò ben oltre la realizzazione del Grande Fratello orwelliano.
«Quel periodo storico è profondamente diverso dal nostro e le persone lo sono altrettanto, tuttavia mi ha sorpreso la disponibilità della maggioranza nell’accettare scelte così gravose e dirigistiche».
Dopo la pubblicazione del suo libro molte classi di studenti italiani sono andate a Berlino per conoscere la storia della polizia segreta della DDR. «Una persona che cresceva nel socialismo reale era indottrinata fin dalla nascita: veniva spogliata di ogni pensiero critico, cedeva completamente la propria responsabilità individuale allo Stato. E tutto questo era visto come la normalità».
«Quel cittadino aveva uno Stato che prendeva le decisioni al posto suo e pensava al posto suo. In cambio di una casa, di un lavoro, di un’automobile uguale per tutti. Il patto di quelle società oggi può sembrare inquietante ma era molto chiaro».
Stasimuseum
Sintetizzando: se non posso essere libero allora mi dai tutto quello che mi serve. «Già. Oggi invece i Governi hanno detto: chiudi il tuo negozio. E il negoziante si è chiesto: va bene, chiudo, ma in cambio di cosa?».
In cambio di una promessa di salute, lusinga molto più vaga rispetto alla sicurezza contro un nemico esterno, tangibile, visibile, definito. Per questo i paragoni semantici con la guerra sono stati inopportuni: nella crisi del virus cinese mancava sia l’epica che l’estetica di una contrapposizione armata. Dall’era della Guerra Fredda, in cui c’era una divisione manichea della realtà (bene VS male), siamo passati a un improvviso e diffuso senso del sospetto.
«La rinuncia alla libertà ha un prezzo molto alto, questo nella Germania Est lo avevano capito bene ma nella nostra società attuale una base sempre più larga di persone sceglie di abdicare alla comprensione dei fenomeni sociali. Comprendere la realtà che ci circonda è uno sforzo che presuppone delle basi culturali, che non tutti hanno. È più semplice e rassicurante lasciare questo sforzo nelle mani del Governo, seguendone poi le direttive, giuste o sbagliate che siano».
L’algoritmo dei social che crea intorno a ogni bacheca un piccolo mondo è la nostra comfort zone, anche per chi vuole crearsi la propria, personale, verità. «Una verità che spesso è soltanto credulità – aggiunge Gianluca – il lavoro dell’algoritmo, nella Germania socialista, lo faceva il Governo».
Hong Kong come nuova Berlino?
Hong Kong sembra essere l’epicentro di una nuova Guerra Fredda, il movimento che lotta per la libertà e l’autonomia si richiama ai valori occidentali, l’eredità più importante lasciata della Gran Bretagna.
Falanga: «Non vedo la presenza degli americani, non vedo una chiara posizione dell’Occidente a supporto della causa della libertà. C’è Pechino, è vero. Ma la domanda da porsi è: chi vede la Cina come una minaccia? Certamente non l’Europa. Il regime comunista cinese è attivo in maniera espansiva fuori dai propri confini, la politica URSS era invece basata su un filone ideologico».
Insomma, ai cinesi interessano gli affari, non le conversioni.
La ribellione da aperitivo
Il sole e il mare fanno sembrare questa mattina di giugno una normale estate, sono ancora al telefono con Gianluca, gli racconto che i primi a uscire in palese “violazione delle distanze di sicurezza” sono stati i più giovani, stanchi di settimane di lockdown e desiderosi di riprendere in mano la propria vita sociale. Il mio pensiero va a tanti ragazzi dell’Est che negli anni ’80, pur di ascoltare i gruppi rock occidentali, incidevano i dischi proibiti nelle lastre delle radiografie. La musica e la voglia di divertirsi fecero cadere il muro più velocemente. Il mio paragone è appena sussurrato ma Falanga lo coglie. «Ecco un’altra analogia, e non è una questione frivola. Dopo due decenni (’60 e ’70) di “pace militarizzata” negli ’80 i movimenti di opposizione al Governo divennero consistenti. Nell’allora DDR le prime ansie di emancipazione arrivavano appunto dai giovani».
«In Germania all’inizio della quarantena, come risposta alle restrizioni, sono stati organizzati dei grandi party, ovviamente sanzionati dalla polizia. Questa attitudine a non accettare limitazioni delle proprie libertà individuali è positiva e indica una certa vitalità in parte della popolazione, oggi come allora».
Ma cosa rimane di tutto questo?
«Il problema dei più giovani è quello di esprimere questa vitalità in maniera consapevole. C’è l’ansia di ritrovarsi, c’è la spensieratezza, ma poi, cosa rimane una volta tornati a casa? Chi adesso ha 20 o 25 anni mi fa sperare, perché forse sono i primi a capire che, se è vero che non abbiamo una dittatura in Europa, è anche vero che siamo controllati, e che tutta questa arrendevolezza al potere nasce da un senso di impotenza».
Questi mesi ci hanno insegnato che la libertà non è ancora un valore acquisito.«La democrazia e sempre quella ma siamo cambiati noi ed è cambiato il mondo. Dobbiamo imparare a cercarci da soli le risposte – conclude Gianluca – al tempo della Stasi reperire informazioni da diverse fonti e farsi una propria idea sul mondo era un’operazione che metteva a rischio la propria vita, adesso basta uno smartphone. I giovani, tra uno Spritz e l’altro, dovrebbero capirlo e fare sentire la propria voce».
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/WhatsApp-Image-2020-06-09-at-16.25.48.jpeg7201600David Mazzerellihttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngDavid Mazzerelli2020-06-19 15:52:442020-06-19 15:53:24L’era della paranoia, intervista a Gianluca Falanga del Museo della Stasi a Berlino
La violenza verbale sui social si accanisce sulle donne che non fanno scelte dettate dalla società.
Rakete, Botteri, Romano sono solo alcune vittime del bullismo verbale.
Il manifesto della comunicazione non ostile contro la violenza delle parole.
Il body shaming spesso si presenta travestito da battuta. L’aspetto fisico è ancora oggi un metro di misura diffuso per giudicare se stessi e gli altri. Purtroppo al giorno d’oggi vige la convinzione che magrezza e bellezza sono requisiti fondamentali per avere successo. Il bullismo verbale crea vergogna in coloro che lo subiscono, che a sua volta può scatenare depressione e comportamenti compulsivi.
I commenti sulle donne professioniste spesso vertono sull’apparenza e raramente sui contenuti. Apprezzamenti, battute o insulti, poco importa: il corpo fa discutere più dell’intelletto.
In società maschiliste e populiste emerge una diffusa difficoltà nel ritenere il sesso femminile capace di svolgere determinati incarichi o di occupare posizioni di potere. Abituati a veline, vallette, schedine, Miss Italia ecc., il corpo della donna si riduce ad oggetto di facile giudizio agli sguardi pubblici. La tv diventa veicolo di stereotipi di genere ed alimenta luoghi comuni. Succede dunque che grazie a questo mondo non rappresentativo della società si diffondono rigidi canoni di bellezza. I leoni da tastiera criticano a prescindere:
“In Italia le donne vengono criticate qualunque cosa facciano. Se sei intellettuale, ti criticano perché sei una maestrina. Se ti occupi di moda ti criticano perché sei troppo superficiale, se sei brutta ti criticano perché sei brutta e se sei bella ti criticano perché sei troppo bella”
Spesso dietro l’odio si nasconde la paura di ciò che è ignoto, perché in fondo la figura della donna forte e libera non è ancora radicata nella nostra società. Se guardiamo indietro non sono pochi gli esempi di body shaming avvenuti negli ultimi mesi: Carola Rakete si è fatta carico della vita di molte persone. Cercando un porto sicuro nelle acque italiane, ha finito poi per essere insultata per i suoi capelli, le ascelle non depilate e il reggiseno non indossato sotto la maglietta.
Poi c’è Silvia Romano: partita per il Kenya ad aiutare il prossimo, sequestrata per 18 mesi, dopo la liberazione si è ritrovata a sua volta messa alla gogna dal terrorismo mediatico. Lì dove dovrebbe sentirsi libera non lo è. Imprigionata dall’odio trasmesso da una fetta d’Italia che non ha saputo accoglierla, accusandola tra l’altro di indossare un velo ed essersi convertita all’Islam.
O ancora la giornalista Giovanna Botteri: poco importano gli innumerevoli riconoscimenti ed i 25 anni di lavoro in zone di guerra, il suo look rimane tema di numerosi commenti sui social. In una recente intervista sulle pagine del Corriere della Sera, la giornalista afferma:
“In generale il problema è quando si confondono i piani, quando la tua immagine diventa notizia. Noi raccontiamo, non siamo quelli che devono essere raccontati: se la donna da soggetto diventa oggetto del racconto c’è qualcosa di sbagliato. I problemi sono sempre legati all’immagine: la giornalista che fa tv non dovrebbe mai rispondere a una serie di canoni legati al suo essere donna piuttosto che giornalista”
Autorevolezza delle donne, qualità, rigore umano e professionale, impegno, non sono una questione d’immagine. Ha ragione #GiovannaBotteri quando invita ad aprire una discussione seria su come ribaltare codici e aspettative.
Il mio blog per @ilriformistahttps://t.co/155uxK794f
Rakete, Romano e Botteri sono solo alcuni esempi dove l’intelletto e l’esperienza sono passati in secondo piano a favore del body shaming. Armandosi di superficialità, c’è chi non è riuscito e non riesce a guardare oltre. Anche nelle realtà più piccole, al di fuori dei grandi riflettori, non mancano episodi di bullismo verbale. Recentemente, in provincia di Bolzano, la capogruppo dei Verdi, Brigitte Foppa, è stata presa di mira da una lettera anonima che insultava lei ed i suoi capelli (!). Nell’intervista con il quotidiano Alto Adige afferma:
“Sono anni che sento parlare dei miei capelli, troppo lunghi, troppo ricci, brizzolati o colorati. Il punto è che disturbiamo.”
Contrastare il body shaming: il manifesto della comunicazione non ostile
Le parole hanno un peso e lo dimostra anche Parole O_Stili, un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole. Il loro manifesto è composto da dieci principi di stile a cui ispirarsi per scegliere parole giuste, per non dare etichette, isolare o ferire.
Il manifesto di Parole O_Stili contro la violenza verbale
Educazione e prevenzione costruiscono le basi per combattere le discriminazioni, il body shaming e la grassofobia. Sul sito di Paroleostili sono disponibili vari materiali didattici e informazioni per approfondire il tema. Le parole pungono, gli insulti feriscono. Scegliamo con cura le parole che diciamo (e non diciamo)!
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/body-shaming-ninja.jpg10801977Marina Nardonhttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngMarina Nardon2020-06-19 10:58:582020-06-22 09:14:53Body shaming e insulti contro le donne forti: come colpiscono i leoni da tastiera
Su TikTok è in arrivo un programma a lungo termine che riunisce esperti, associazioni, educatori, creator con abilità e competenze differenti per creare un ecosistema di contenuti di taglio educativo.
Dallo sport alla cucina, dall’arte al lifestyle, dai tutorial ai life hack, i contenuti didattici hanno già totalizzato oltre 225 milioni di visualizzazioni solo in Italia.
Gallerie degli Uffizi, Unione Nazionale Consumatori, i celebri chef Bruno Barbieri e Damiano Carrara, l’associazione no-profit Diversity tra i primi partner.
La piattaforma per video brevi da dispositivi mobili si evolve, andando ad ampliare e diversificare i suoi contenuti con video di taglio educativo e didattico, che si affiancano a quelli di intrattenimento.
La costante condivisione e infusione di conoscenze ha visto un considerevole aumento in piattaforma, specialmente nell’ultimo periodo, conseguenza della naturale evoluzione di TikTok che ha rivelato la sua potenzialità, diventando una sorta di enciclopedia virtuale da tenere comodamente nel palmo della mano, rendendo l’apprendimento accessibile e sfruttando al contempo l’incredibile creatività dei suoi utenti.
Nasce così il programma #ImparaConTikTok, volto a divulgare i video didattici, dalla letteratura allo sport, dalla musica al lifestyle, dalla cucina ai viaggi, fino alle questioni sociali. Sono, infatti, innumerevoli i contenuti condivisi dai creator che coprono una vasta gamma di categorie, tanto che il tag ufficiale conta già oltre 225 milioni di visualizzazioni e nell’ultimo periodo è tra i hashtag più popolari su TikTok.
Chi ha già aderito al programma di TikTok
Un cambio significativo di direzione per TikTok, come ha commentato anche Rich Waterworth, TikTok General Manager EU: “Fin dal suo lancio, nel 2018, TikTok è rapidamente diventata una destinazione di riferimento per l’intrattenimento in video pillole brevi. Ora, il nostro obiettivo è costruire su questa eredità, riunendo sulla stessa piattaforma divertimento e apprendimento, offrendo così alla nostra community un ecosistema ricco e diversificato di contenuti”.
In Italia, tra i primi ad aver accolto con entusiasmo l’iniziativa:
le Gallerie degli Uffizi di Firenze (@uffizigalleries), primo e unico museo italiano a partecipare alla Settimana dei Musei su TikTok con una diretta streaming, che avvicina all’arte con i suoi video ricchi d’inventiva e spiccato senso dell’umorismo anche le generazioni più giovani.
L’Unione Nazionale Consumatori (@massimilianodona) che proprio in questi giorni con #cucinasenzasprechi sta favorendo la conoscenza del tema dello spreco alimentare su TikTok.
L’associazione no-profit Diversity, presieduta da Francesca Vecchioni, che attraverso i video di TikTok promuoverà la valenza positiva della diversità, una concezione del mondo che valorizzi appieno l’importanza delle differenze e della molteplicità, patrimonio prezioso per tutti e tutte.
Si aggiungono anche alcune delle celeb più popolari su TikTok che già realizzano i contenuti didattici nel proprio stile personale ed inconfondibile, come gli chef Bruno Barbieri e Damiano Carrara.
Tra i creator più amati e rappresentati di #ImparaConTikTok c’è Aurora Cavallo, meglio nota come @cooker.girl: soli 18 anni, ma una passione travolgente per il mondo della cucina condivisa in brevi pillole da 60 secondi che le hanno permesso di avere un seguito di oltre 150 mila follower in pochi mesi.
Marco Martinelli, @marcoilgiallino, scienziato e cantante, rende la scienza e la chimica semplice e accattivante, mostrando curiosità e semplici esperimenti da rifare a casa.
Sulla piattaforma trovano spazio anche contenuti volti all’insegnamento e alla scoperta delle lingue straniere: le porte della Cina e della cultura cinese si spalancano con i video di Liz (@lizsupermais), mentre sono Norma (@normasteaching) e The Cool Professor (@thecoolprofessor) a svelare i segreti dell’inglese.
Lucia Andreoli (@luciaandreoli), invece, trasforma stoffe e vecchi tessuti in splendidi abiti:così anche il cucito viene riscoperto diventando la più social e affascinante delle materie.
“Vorremmo che le persone arrivassero su TikTok non solo per il divertimento, ma per imparare qualcosa di nuovo, acquisire una nuova abilità o semplicemente essere ispirati a fare qualcosa di nuovo, che non avevano mai fatto prima”, aggiunge Rich Waterworth.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/tiktok.jpg552827Company Newshttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngCompany News2020-06-18 17:26:102020-06-18 17:30:52Nasce #ImparaConTikTok, il programma che unisce apprendimento e divertimento
Dopo il lockdown anche il mondo virtuale è mutato e tutti dobbiamo adeguarci a questo cambiamento.
Dalle bio sui profili, al social listening, dall’Influencer Marketing, all’advertising, ecco quali strategie e tattiche bisogna ricordare in questo periodo di transizione.
Non abbiamo bisogno di dirci quanto questi ultimi mesi abbiano cambiato profondamente ogni aspetto delle nostre vite. Dal quotidiano al mondo professionale, il virus e il lockdown hanno stravolto qualsiasi cosa e il mondo dei social media non poteva di certo rimanere a guardare.
È così che anche il mondo virtuale ora sente l’esigenza di mutuare e ogni utente deve necessariamente adeguarsi puntando a delle piccole accortezze fondamentali per stare al passo con i tempi.
1. Cambia la bio
Se la quotidianità, come dicevamo prima, è stata stravolta, allora anche la descrizione sui social della pagina o del profilo devono essere aggiornate.
Facciamo un esempio: sulla pagina Twitter di Best Buy sembra non essere cambiato nulla per l’azienda. Eppure oggi effettua solo il ritiro della merce.
Tutte le sedi di Best Buy negli Stati Uniti effettuano solo un servizio ma nella bio non è affatto specificato. Si tratta però di un’informazione importante che occorre subito fornire, eventualmente anche nei post messi in primo piano.
2. Potenzia il Social Listening
Incertezze, dubbi, perplessità: il mondo social dà tanti segnali di cambiamento e noi abbiamo il dovere di ascoltarli. La comunicazione online è decisamente aumentata negli ultimi mesi e quante cose sono ancora cambiate? Come si comporta il consumatore online? Quali sono le sue attitudini e cosa comunica?
Studiare quello che l’utente vuole dirci è la seconda azione da svolgere.
3. Pubblica con un obiettivo preciso
Less is more: basta con i contenuti pubblicati solo per il gusto di farlo. Basta. Puntiamo alla qualità anziché alla quantità e facciamoci una domanda, ovvero: “il mondo ha veramente bisogno di questo contenuto?”.
Se la risposta è sì allora proseguiamo con una serie di domande: chi leggerà questo post? Che tipo di contenuto sto veicolando? Vuole mirare ad educare, informare o intrattene?
Qual è il cambiamento che si otterà con quel contenuto? Un’azione o un’ipotesi di pensiero? A tal proposito, curioso è il lavoro dell’americana Cardinal Spirits, situata a Bloomington in Indiana.
Si tratta di una piccola distilleria che ogni giorno pubblica sul canale Instagram ciò di cui ha bisogno per supportare le vendite. In soldoni, identificano l’obiettivo del giorno e quando lo raggiungono, lo rendono noto ai follower.
Sappiamo perfettamente che ciò che spinge i social e il web sono le persone: i network, la rete, le community sono alla base di qualsiasi relazione.
Quindi, anche se si pensa che la prerogativa sia quella di spingere l’azienda, non bisogna dimenticare che ognuna è composta da una moltitudine di persone: ecco, è il momento giusto per farlo.
Ora è il tempo di comunicare attraverso le persone, il vero valore aggiunto di ogni realtà.
Il Getty Museum ha svolto un lavoro simile: sono sempre le persone in primo piano, questa volta i fan, e infatti hanno chiesto loro di immedesimarsi in uno dei loro quadri preferiti.
Non è tutto estremamente fantastico?
5. Investi sull’Influencer Marketing
Ritornando al valore delle persone, dell’estrema fiducia che viene riposta in esse e nelle loro opinioni sui social, non bisogna dimenticare che l’influencer marketing non è morto. Cambiato sì, ma non affatto morto.
Un recente studio ha dimostrato un aumento del 75% dei click sui post di Instagram con #ad incluso tra gli hastag principali.
Quindi: mai dimenticare che un influencer (micro o top che sia) è un buon “strumento” di marketing.
6. Poni il prodotto in primo piano
Si è parlato tanto di distanziamento sociale tanto che ciò ha cambiato la nostra percezione su tanti aspetti. Occorre stare molto attenti a quelli che sono i contenuti veicolati oggi, quello che essi comunicano: se una foto è stata scattata in tempi non sospetti, siamo sicuri che sia adatta anche al contesto attuale?
Schwinn Bikes ha cambiato il suo piano editoriale fin da subito, adeguandosi a quelle che erano le circostanze: se prima due persone camminavano tranquillamente sul ponte, dopo poco l’immagine raffigurava un uomo in solitaria.
7. Prova nuovi formati e nuovi tempi di pubblicazione
Il mondo dei social cambia rapidamente e negli ultimi mesi vi è stata un’accelerata notevole. L’uso dei social è infatti aumentato sebbene siano cambiate le abitudini della maggior parte delle persone. Fino a poco fa nessun pendolare e nessuna palestra. Ora, sono cambiati anche gli approcci.
Se prima del coronavirus, nel settore social/finanziario, si poteva pubblicare alle dieci di mattina, ora l’orario prediletto sembrano essere le dieci sì, ma di sera. Il ritmo attuale è: cenare e collegarsi sui social per vedere le novità. Sarà vero? Basta sperimentare!
I dati di SocialBakers dimostrano che il costo per clic e il CPM per gli annunci social stanno diminuendo, poiché sempre più inserzionisti interrompono le loro campagne.Allo stesso modo, anche le percentuali di clic complessive per gli annunci social stanno diminuendo, il che significa che anche gli annunci meno costosi potrebbero non funzionare.
Il suggerimento che vi diamo è quello di ricalcolare le spese in base ai dati. Se tutto è cambiato perche questo dovrebbe essere uguale?
È un mondo difficile, cantava qualcuno, e bisogna assecondare i tempi del cliente: se ora la capacità di spesa è ridotta allora occorre costruire di più sul desiderio.
David Weekley Homes ha aiutto i clienti a creare “liste dei desideri” durante la quarantena con le loro serie di tendenze domestiche, per regione. Questo riguarda le tendenze della cucina, ecc. nelle nuove case di Austin.
10. Usa i tuoi assi nella manica
Se ci sono ancora un report o un bel video da pubblicare è il momento giusto per farlo, anche se sono datati, ma riportano informazioni attuali, specialmente se hanno avuto successo in precedenza.
Decostruire, riconfezionare e ripubblicare è tutto quello da fare.
In un periodo particolare come questo, occorre invertire le priorità: è un momento in cui occorre mostrare la propria presenza ed aiutare. Sì, ma se non si vende come si fa ad andare avanti?
I clienti non dimenticheranno queste accortezze e staranno attenti in un futuro prossimo a premiare chi si è dimostrato disponibile.
12. Un consiglio non richiesto
Non esiste la formula perfetta per una strategia di successo, quello che conta è avere delle basi su cui testare. Conoscere l’ambito d’azione, il proprio target, il customer journey è la base su cui costruire contenuti e piani idonei.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2019/09/content-marketing.jpg634980Eleonora Tricaricohttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngEleonora Tricarico2020-06-18 11:25:462020-06-22 21:59:4211 cose da fare sui Social Media per stare al passo con i tempi
Coca-Cola ha firmato come partner di lancio esclusivo di #BeApp, una nuova piattaforma di streaming musicale che integra elementi di gaming e social media nell’esperienza di virtual concert-viewing.
L’app ospita le Coke Studio Sessions, una serie performance di artisti di alto profilo come Katy Perry, Miguel, Steve Aoki.
Con questa partnership, Coca-Cola cerca di prendere il controllo di quello che potrebbe essere uno dei principali trend globali: l’interesse crescente per i concerti virtuali.
Recentemente, Coca-Cola e #BeApp, una nuova piattaforma di virtual concert-viewing,hanno annunciato il lancio delle Coke Studio Sessions, un progetto esclusivo di spettacoli musicali in streaming per sessanta giorni consecutivi.
Le performance coinvolgono oltre 100 artisti in tutto il mondo, tra cui Katy Perry, Anitta, DJ Khaled, Bebe Rexha, Miguele Steve Aoki.
Alla scoperta di #BeApp
#BeApp è una nuova piattaforma di social streaming che democratizza l’accesso live alle performance dei migliori artisti, e ai più grandi spettacoli e show musicali, portando le star più amate direttamente a casa del pubblico, in una sorta di salotto virtuale globale.
Scaricabile gratuitamente, l’app consente di sintonizzarsi su una serie di esperienze virtuali immersive, paragonabili a quelle dei concerti e dei festival dal vivo.
Essa, inoltre, integra elementi di gaming e social media al livestreaming, consentendo agli utenti di divertirsi, fare acquisti, donazioni e interagire con i loro artisti preferiti.
Tra le principali funzionalità accessorie di #BeApp, ricordiamo:
Condivisione in-app – una funzione di condivisione che incoraggia gli utenti a invitare amici e parenti a unirsi a loro durante il livestreaming dei concerti.
Valuta / Punti – le interazioni e le condivisioni su #BeApp fanno guadagnare agli utenti punti e valuta in-app che possono essere riscattati attraverso premi, upgrade di funzionalità e molto altro. Tra i premi, i “posti in prima fila”, che offrono ai fan una maggiore presenza digitale durante il livestreaming.
Donazioni – il pubblico ha la possibilità di fare una donazione al Movimento internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa per sostenere la battaglia contro il Covid-19.
L’impegno contro il Covid-19
Secondo il co-fondatore Ray Smith, “#BeApp è stato progettato per connettere gli amanti della musica e dei concertidal vivo. Le persone hanno bisogno di quella connessione ora più che mai”.
Ricardo Fort di Coca-Cola ha dichiarato: “Molti potrebbero sentirsi soli o isolati a causa della pandemia. Noi ci siamo impegnati a rafforzare lo spirito umano e favorire la connessione in un periodo difficile. Con 60 giorni di contenuti musicali live interattivi, i fan possono divertirsi e condividere le proprie esperienze. Il nostro auspicio è che le Coke Studio Sessions siano piccoli momenti di intrattenimento quotidiano per coloro che attraversano la fase del new normal”.
Durante tutto il periodo di programmazione delle performance, i fan avranno l’opportunità di fare donazioni al Movimento Internazionale della Croce rossa e della Mezzaluna Rossa per sostenere la lotta contro il Covid-19.
A tal fine, Coca-Cola Foundation ha già donato oltre 14 milioni di dollari in tutto il mondo, a cui si aggiungono le donazioni degli utenti che finora si attestano su un totale collettivo di 3 milioni di dollari.
La scommessa di Coca-Cola
Con l’esclusiva partnership, Coca-Cola punta in modo chiaro su quello che è oggi dei principali trend globali.
L’emergenza Covid-19 ha portato alla sospensione di concerti e festival musicali. Per questo, sempre più artisti fanno ricorso alle app di streaming per coinvolgere i propri fan, aprendo nuove opportunità sia per le piattaforme in sé che per gli esperti di marketing.
Una testimonianza dell’esplosione di questo trend è la recente iniziativa promossa da Budwiser, “Rewind”, una serie di concerti interattivi live su YouTube.
Un progetto che si concentra su artisti come The Black Eyed Pease incoraggia gli spettatori a fare richieste di canzoni e porre domande alle band attraverso il social media.
Dall’altra parte, l’intento di #BeApp è quello di cogliere i frutti del recente fenomeno di transizione verso spazi digitali di aggregazione e dell’incremento nell’uso dei social media registrato durante la crisi sanitaria globale.
L’accordo rientra nel novero degli “esperimenti digitali” in cui Coca-Cola potrebbe investire di più, in un momento storico in cui le sponsorizzazioni delle partite e dei concerti dal vivo sono sospese.
Allo stato attuale, le previsioni sul successo di #BeApp non sono facili. Molte recensioni sull’App Store di Apple sono positive, tuttavia alcuni ne criticano l’interfaccia, poco user-friendly.
Gli artisti di fama internazionale che partecipano alle Coke Studio Sessions potrebbero essere la chiave per attirare i fan affamati di contenuti e per cavalcare l’onda dell’interesse crescente per i concerti virtuali.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/BeApp-1.jpg5761024Giulia Migliettahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngGiulia Miglietta2020-06-17 16:59:432020-06-17 16:59:46Coca-Cola punta sui concerti virtuali grazie alla partnership con #BeApp
Gli strumenti digitali hanno fornito finora un’importante alternativa agli eventi fisici.
Va considerato che il tone of voice e le finalità di un evento da ospitare sui social sono molto diversi da quelli di un evento tradizionale.
Una strategia promozionale ben strutturata e omnicanale è fondamentale ai fini di una buona riuscita di un evento digitale.
Il settore degli eventi è fra quelli che ha sofferto maggiormente durante il periodo di emergenza da Covid-19: negli ultimi mesi sono stati annullati tutti gli eventi che prevedevano riunioni di persone. Dai concerti alle fiere, passando per quelli sportivi e di business.
Da marzo, infatti, tutto il comparto legato al vasto mondo dell’intrattenimento live ha subito una brusca frenata in Italia.
Anche da un punto di vista marketing gli eventi rappresentano per i brand un efficace metodo di comunicazione con i consumatori e gli stakeholder, permettendo un contatto diretto con quest’ultimi (più di qualsiasi altro strumento). Questo genere di eventi può avere, ad esempio, carattere commerciale, come il lancio di un prodotto, relazionale, un aperitivo per celebrare un risultato raggiunto, o professionale, un meeting per presentare una nuova strategia.
Gli strumenti digitali hanno fornito finora, e nella maggior parte dei casi citati, un’importante alternativa agli eventi fisici: infatti negli ultimi mesi si è assistito a un non trascurabile utilizzo di social network e di software per l’organizzazione di eventi digitali. Le community hanno dato vita ad “assembramenti digitali”.
Questa possibilità ha concesso ad artisti, intrattenitori e brand di rimanere in contatto con il proprio pubblico che ha partecipato a concerti, conferenze, seminari e spettacoli, comodamente dal divano di casa.
Gli eventi sui social media
Proprio come accade nel reparto marketing di un’azienda quando ci si appresta ad organizzare un evento tradizionale, è importante avere le idee chiare e conoscere bene gli strumenti che si hanno a disposizione prima di ospitarne uno sui propri canali.
Per la maggior parte degli operatori del settore si tratta di un lavoro nuovo: finora i social media hanno rappresentato, nel settore eventi, una leva promozionale e una parte (seppur importante) della customer journey.
Negli ultimi 3 mesi si sono trasformati nel palcoscenico: il ponte di congiunzione fra l’evento e il rispettivo pubblico.
Le piattaforme social hanno messo a disposizione diversi upgrade per venire incontro a questa esigenza degli organizzatori di eventi, offrendo servizi e strumenti sempre più in linea con questo nuovo trend: lo scopo è la creazione di engagement e di interattività con chi decide di collegarsi.
L’importante è non sottovalutare questo genere di attività, all’apparenza più semplice rispetto all’organizzazione di un evento fisico: per tale motivo sono stati considerati pochi punti chiave da non tralasciare durante l’organizzazione di un evento digitale.
Come organizzare un evento sui social
1. Il tema dell’evento e il tone of voice
Domanda numero uno: un evento pensato per una platea tradizionale può avere la stessa efficacia anche in formato digitale?
In un articolo dedicato al tema, il team Marketing di Google sostiene che il poter realizzare un evento digitale non vuol dire che va necessariamente organizzato.
Va considerato che il tone of voice e le finalità di un evento da ospitare sui social sono molto diversi da quelli di un evento tradizionale: è importante capire se l’argomento scelto è in linea con il proprio pubblico, ha appeal (anche da un punto di vista digitale) e se è un tema che si può trattare di fronte ad una platea potenzialmente molto ampia e fisicamente distante.
Qual è la finalità dell’evento? Quanto durerà il live? Chi sono gli ospiti? Come e quando interverranno? C’è materiale grafico o video a supporto da condividere con il pubblico?
Queste sono solo alcune delle importanti domande a cui dovrebbe rispondere il piano organizzativo dell’evento live. Inoltre è corretto che tutto il team di lavoro sia coinvolto nella redazione di questo piano, e che siano presenti tutte le figure professionali al fine di fronteggiare al meglio gli eventuali imprevisti della diretta.
Capitolo a parte meriterebbe la scelta della piattaforma social su cui ospitare il proprio evento. A seconda delle esigenze, della tipologia di target e del topic dell’evento si può decidere di andare in diretta su un determinato social network.
La scelta è ampia e dovrebbe ricadere sulla piattaforma social dove si ha il maggior seguito o dove si ritiene sia concentrato il target di riferimento.
All’interno del piano organizzativo dovrebbe essere presente un paragrafo dedicato agli imprevisti della diretta che, se da un lato può regalare emozioni indescrivibili, dall’altro nasconde mille insidie. Si consiglia di preventivare, 1 o 2 giorni prima del go live, una giornata dedicata alle prove generali per testare con la massima calma il corretto svolgimento di tutte le fasi dell’evento in programma.
Ad esempio è importante tenere sotto controllo la qualità della connessione Internet, la qualità del suono e la luminosità della location scelta per la diretta.
È importante rivedere un’ultima volta la scaletta e calcolarne i tempi di discussione. Sarebbe ancora più utile farlo con tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione e con un focus group, composto da alcune persone fidate o del settore eventi, al fine di effettuare il definitivo “fine tuning”.
3. La promozione degli eventi sui social (e non solo)
Una strategia promozionale ben congegnata, omnicanale e strutturata è fondamentale ai fini di una buona riuscita di un evento digitale. Le informazioni che devono arrivare chiaramente al target sono la durata, il luogo dove si svolgerà la diretta, il nome degli ospiti, lo scopo e le istruzioni con cui iscriversi e partecipare.
Ecco alcuni consigli per una corretta strategia promozionale:
• Promuovere l’evento per almeno 3 o 4 settimane.
• Dedicare all’evento una pagina web contenente una breve descrizione e un form di registrazione molto chiaro.
• Comunicare sui propri canali social i messaggi più significativi (nome dei partecipanti, orari, modalità di registrazione, come partecipare).
• Inviare una mail come reminder alcuni giorni prima.
• Coinvolgere nella promozione diretta dei brand ambassador.
È il grande giorno: è il momento di raccogliere i frutti di tanto lavoro da parte di tutti gli operatori che hanno partecipato al corretto svolgimento di questo evento digitale.
È giusto ribadire che lo svolgimento, il tone of voice, gli orari e il coinvolgimento del pubblico di un evento da ospitare sui social network sono molto diversi rispetto a quelli di un evento tradizionale.
Mantenere alta la concentrazione degli spettatori, con un ritmo più veloce e con tecniche di engagement diventa prioritario nel mondo digitale: rispondere ai commenti e interagire con le persone che pongono domande durante l’evento è sempre una buona idea.
Una volta finito l’evento bisogna focalizzarsi sul follow-up con il proprio team: ripercorrendo le tappe della giornata verranno in mente momenti interessanti e vincenti, assolutamente da riproporre. Altri invece verranno cancellati dalle prossime scalette.
Il follow-up è uno dei momenti chiave per realizzare eventi digitali professionali e sempre più in linea con le preferenze del proprio target. Soprattutto se si ha intenzione di preparare la seconda edizione dell’evento, o un nuovo format, bisogna prendere del tempo per condividere con il proprio team i punti di forza e i punti deboli dell’opera appena terminata.
Chiedere un parere a tutti coloro che hanno partecipato attraverso email, per valutare la customer satisfaction, può rivelarsi molto utile.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/consigli-eventi-social.jpg460668Luca Maucionehttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngLuca Maucione2020-06-16 16:36:222020-06-17 13:30:274 punti chiave irrinunciabili per ospitare eventi sui social
In un Pride Month 2020 all’insegna del social distancing, senza eventi e parate, i grandi brand danno sfogo alla loro creatività con limited edition a tema.
Molte delle collezioni per il mese del Pride sono parte di più ampi progetti per il sostegno attivo da parte delle aziende alla lotta per i diritti della comunità LGBTQIA+.
Inizia il mese dedicato ai diritti della comunità LGBTQ+, che per la prima volta dopo anni non vedrà le strade delle grandi città riempirsi di persone per celebrare l’orgoglio omosessuale, nel rispetto del social distancing.
Ma come ogni anno, anche in questo giugno 2020 i brand tornano a celebrare l’amore in tutte le sue forme tingendosi dei colori dell’arcobaleno.
Abbigliamento, accessori, scarpe: sono tantissime le creazioni in edizione limitata lanciate dai grandi nomi del fashion e dello sportswear a supporto della comunità omo-lesbo-bi-trans.
Il Pride month 2020 visto dai brand
Adidas
Il colosso tedesco di abbigliamento sportivo apre il Pride month 2020 con il lancio di un Pride Pack contenente una rivisitazione arcobaleno delle sue calzature best seller: Superstar, NMD R1, Ultra Boost S&L, Nite Jogger, Stan Smith e Carrera Low, quest’ultima in duplice versione.
Siamo orgogliosi e impenitenti e vi incoraggiamo a essere come noi. L’amore unisce.
Alle sneakers, Adidas aggiunge una release delle amatissime ciabatte Adilette, in versione nera e con il logo Trefoil con texture colorata.
Lo stesso logo lo ritroviamo sulle t-shirt della collezione clothing a tema Pride, composta anche da shorts, calzini, felpe e leggings, molti dei quali già disponibili sull’e-commerce ufficiale, altri coming sono.
Con la Pride Collection, Adidas riconferma il suo impegno a favore della comunità LGBTQIA+; il brand, infatti, sostiene regolarmente da anni il Trevor Project, la più grande organizzazione mondiale di prevenzione del suicidio e di supporto psicologico per i giovani della comunità.
Banana Republic
Dagli abiti alle calze, passando anche per le t-shirt, la collezione Pride di Banana Republic conta in tutto 19 pezzi disponibili sull’e-commerce ufficiale, riconfermando l’impegno del brand nella difesa dei diritti delle persone omosessuali, bisessuali e transgender.
La Pride Collection non è l’unica iniziativa del brand a favore della comunità LGBTQIA+: Banana Republic ha fatto una donazione di 60 mila dollari ad una campagna d’informazione delle Nazioni Unite Free & Equal per la promozione del progresso in fatto di diritti umani.
Nike
Con la collezione di sneaker e abbigliamentoNike BETRUE, disponibile a partire dal 19 giugno su nike.com e presso rivenditori selezionati, anche il colosso americano supporta la comunità LGBTQIA+.
Le calzature rivisitate in chiave BETRUE sono le Nike Air Max 2090, le Nike Air Deschutz e, sopratutto, le Nike Air Force 1, vere protagoniste della collezione, con il marchio sul tallone dei 10 colori della bandiera More Color, More Pride.
Come annunciato dall’azienda, Nike dichiara pubblicamente il suo impegno a supporto di più di 20 associazioni locali e nazionali, per promuovere l’inclusione e combattere le discriminazioni degli atleti LGBTQIA+ nel mondo dello sport.
New Balance
Fuori dal 22 maggio, la Pride collection di New Balance, composta da due versioni delle sue FuelCell Echo, una da uomo in blu e una da donna verde acqua, e da una coloratissima release della sua iconica 327.
Entrambi i modelli FuelCell Echo sono caratterizzati da pannelli oleografici sul tallone e i colori dell’arcobaleno sulla metà posteriore.
Anche New Balance non si limita alle scarpe, ma affianca alla collezione di sneaker, ciabatte e t-shirt dal logo arcobaleno.
Oltre ai capi casual più iconici della Chiara Ferragni Collection, con il logo stampato su un arcobaleno glitterato, la linea Love Fiercely propone anche polo-shirt e polo-dress, tutti abbinabili con le sneackers disponibili nei colori bianco e nero.
Converse
Per il quinto anno di fila, Converse lancia la sua Pride Collection, ispirata ai colori della bandiera “More Color, More Pride”, per celebrare la diversità e l’inclusione estendendo l’arcobaleno con l’aggiunta di una linea marrone e una nera che rappresentano rispettivamente la comunità Latin e Black LGBTQIA+.
La piattaforma Converse By YOU offrirà la possibilità di customizzare i prodotti del marchio a proprio piacimento, come ulteriore celebrazione della libera espressione individuale.
Sarà possibile creare modelli personalizzati, le cui opzioni di design sono ispirate alle bandiere bisessuali, transgender, pansessuali.
Vans
Anche il brand di scarpe e abbigliamento da skate non ci fa mancare la sua Pride Collection, con una vasta gamma di sneaker, dall’iconica checkerboard, il “mocassino” con il motivo a scacchiera che si colora d’arcobaleno, alle sneaker kids con la chiusura a strappo a tema pride flag.
Ma la vera chicca di quest’anno, però, sono le ciabatte vans, sempre con motivo a scacchiera coloratissime e glitterate.
Anche il Re indiscusso degli stivali stringati si colora per il Pride Month, ma lo fa in modo più discreto, con una bandiera cucita sul tallone e la linguetta colorata, senza stravolgere troppo la sua identità.
In associazione con il lancio del Pride Boot, Dr. Martens donerà 25 mila dollari alla fondazione The Trevor Project, una delle più grandi organizzazioni mondiali dedicate al supporto psicologico e alla prevenzione di suicidi di giovani gay, bisex e transgender.
Levi’s
“Use your voice” è il tema centrale della Pride Collection 2020 di Levi’s, un messaggio che incita la libera espressione di sé, l’uguaglianza e l’inclusione.
La collezione Pride di quest’anno è sia un incoraggiamento che una celebrazione di coloro che usano la propria voce per cambiare il mondo.
Jennifer Sey, a capo della divisione marketing dell’azienda.
All’interno della collezione, una vasta e coloratissima gamma di magliette grafiche, giacche di jeans e accessori. Oltre al logo su sfondo arcobaleno, molti pezzi della collezione riportano anche lo slogan “Use Your Voice”.
Per il secondo anno consecutivo, Levi Strauss & Co si unisce all’organizzazione no-profit OutRight Action International, a cui ha annunciato che devolverà il 100% dei proventi netti della Pride Collection.
Nordstrom
Disponibile da giugno, la “BP. Be Proud” Collection di Nordstrom spazia dall’abbigliamento, agli occhiali da sole, ai fermagli per capelli.
Il 10% delle vendite della collezione sarà devoluto all’organizzazione no profit True Colours United, che opera nello sviluppo di soluzioni innovative per i giovani homeless, concentrandosi sulle esperienze delle giovani lesbiche, gay, bisessuali e transgender, che in America costituiscono il 40% della popolazione giovanile senzatetto.
https://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2020/06/pride-month-2020.jpg388531Federica D'Arpahttps://www.ninjamarketing.it/wp-content/uploads/2018/06/nm-logo-new.pngFederica D'Arpa2020-06-16 11:06:082020-06-17 21:40:02Pride month 2020: ecco i brand che celebrano l'amore con i colori dell’arcobaleno
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